Lo Zambia è il primo Paese a rinegoziare il proprio debito col sostegno del G20

L’accordo punta a rilanciare la crescita economica e a garantire strumenti per affrontare l’emergenza idrica

Il ponte sul fiume Zambesi presso la frontiera tra Zambia e Zimbabwe. I due Paesi costituiscono l'epicentro della crisi del debito che ha colpito l'Africa nel contesto della recessione post Covid © Robin Cafolla/Flickr

Dopo lo scorso febbraio, il mese più secco degli ultimi 40 anni, lo Zambia ricorderà anche marzo, ma per un motivo diverso: la rinegoziazione di oltre tre miliardi di dollari del suo debito estero. Un risultato ottenuto a più di tre anni dal default di novembre del 2020, quando lo Stato africano non ripagò una parte degli interessi dovuti su alcuni titoli di debito. Sia per i costi della pandemia, sia per il crollo dei prezzi delle materie prime – in particolare il rame – su cui si basa la sua economia.

L’accordo è importante non solo perché consentirà di rilanciare la crescita economica del Paese, ma anche perché darà più spazio di manovra per affrontare l’emergenza idrica in corso. Il cui impatto negativo colpisce non solo l’agricoltura, ma anche la produzione di energia, prodotta per l’85% dall’idroelettrico.  

L’accordo sul debito dello Zambia

L’intesa tra lo Stato dell’Africa meridionale e alcuni creditori privati rientra nel “G20 Common Framework”. Ovvero un programma lanciato nel 2020 dal G20 con il sostegno del Fondo monetario internazionale (Fmi), per rinegoziare il debito dei Paesi poveri più indebitati. Un’iniziativa subito definita storica in quanto aveva l’obiettivo di portare allo stesso tavolo sia i creditori “tradizionali” occidentali, sia Stati come la Cina, tra i maggiori creditori di molti Paesi in via di sviluppo (soprattutto in Africa). Finora, però, il programma non ha avuto i risultati sperati. Tanto che lo Zambia – dopo averlo richiesto a febbraio 2021 – è il primo Paese a trarne beneficio, quattro anni dopo la sua creazione.

Dopo una precedente intesa siglata lo scorso giugno con i creditori ufficiali (cioè altri Stati, tra cui, appunto, anche la Cina), il nuovo accordo dello Zambia riguarda alcuni titoli di debito denominati in dollari con scadenza nel 2022, 2024 e 2027. E detenuti, tra gli altri, da Amia Capital, Amundi, Farallon, Greylock Capital Management e BlueBay Asset Management.

Nello specifico, l’accordo prevede una riduzione del 22% del valore nominale del debito e la rinuncia a circa 840 milioni di dollari di interessi già maturati. Ma anche un alleggerimento di circa 2,5 miliardi di dollari degli interessi dovuti nel periodo 2023-2025. Una cifra forse non enorme per i creditori, ma significativa per uno Stato con un prodotto interno lordo (Pil) di appena 29 miliardi di dollari.

È tutto oro quello che luccica?

No, non è tutto oro, in questo caso è rame e cobalto. Lo Zambia ne è ricco: è l’ottavo Paese al mondo e il secondo in Africa per produzione di rame. Tant’è che la sua economia si basa sulle esportazioni. Queste, però, lo rendono fortemente dipendente dalle fluttuazioni di prezzo di queste materie prime. Che, tra l’altro, sono fondamentali per auto elettriche, cavi, turbine eoliche e batterie.

Il primo ministro, infatti, ha dichiarato che le risorse sbloccate dalla ristrutturazione del debito aiuteranno a rilanciare l’economia dello Zambia. Soprattutto attraverso investimenti esteri indirizzati alle materie prime. A tal proposito, pochi giorni prima dell’accordo, fonti ufficiali del governo zambiano avevano dichiarato che il Paese stava cercando proprio investimenti per l’estrazione di cobalto destinato alla costruzione di veicoli elettrici.