Lorenzo Tecleme 15.12.2023 Leggi più tardi Sultan al-JaberIl presidente più criticato della storia delle Cop è stato anche il più potente. Con il suo vistoso conflitto d’interessi – è contemporaneamente presidente della Conferenza, ministro nel governo emiratino e ceo di un colosso del fossile – ha dominato il racconto del summit prima ancora che iniziasse. Gli scandali lo hanno accompagnato per tutta la durata di Cop28 – dagli incontri preparatori usati per fare affari rivelati dalla BBC alle frasi shock sul phase-out scovate dal Guardian. Ma lui ne è uscito sempre indenne. Al primo scoop ha rimediato oscurandolo con un accordo lampo sul loss & damage, al secondo presentandosi in conferenza stampa con Jim Skea, rispettatissimo presidente dell’Ipcc. Scaltrezza mediatica, ma anche diplomatica. Con la pubblicazione di una bozza tremendamente poco ambiziosa a meno di un giorno dalla chiusura ufficiale ha costretto le Parti a trattare e preparato le opinioni pubbliche a salutare con sollievo un testo finale meno coraggioso del necessario. La plenaria lampo, pochi secondi per approvare quanto già deciso in una notte di bilaterali, è la summa del suo stile. Agli Emirati Arabi Uniti serviva un risultato abbastanza ambizioso da dimostrare la centralità diplomatica del Paese, ma non tanto da mettere in pericolo immediato il petrolio su cui Dubai galleggia. Sultan al-Jaber ha centrato entrambi gli obiettivi.Foto: Christophe Viseux/Cop28 Teresa RiberaLa vicepresidente socialista del governo spagnolo frequenta le Cop dal lontano 2004, ma questa la ricorderà per tutta la vita. L’Unione Europea ha giocato un ruolo da protagonista a Dubai, intestandosi la battaglia per il phase-out. E il volto dell’Ue è stato quello di Ribera. Un mix di forza personale – Ribera parla tre lingue, è esperta del tema e appartiene ad uno degli esecutivi più ecologisti del Continente – e debolezza altrui – il commissario delegato, l’olandese Wopke Hoekstra, è poco più di una figura di transizione nominata a qualche mese dalle elezioni – le ha permesso di essere centrale nel summit. Peccato però non sia riuscita a portare a casa l’agognato phase-out.Foto: UNclimatechange Abdulaziz bin Salman La diplomazia saudita è volutamente impalpabile. Niente conferenze stampa o gesti teatrali. Abdulaziz bin Salman nessuno lo vede, ma tutti sanno che c’è e, dietro le quinte, è il capofila del fronte fossile. Un dossier del Climate Social Science Network, pubblicato pochi giorni fa, racconta come l’Arabia Saudita abbia sviluppato negli anni un decalogo di tecniche negoziali utili a bloccare qualunque risultato. La squadra capitanata da bin Salman le ha usate tutte – e se non gli hanno permesso di vincere su tutta la linea, può di certo vantare lo stop alle proposte più ambiziose.Foto: IAEA imagebank/Flickr John Kerry e Xie Zhenhua Kerry e Zhenhua sono gli ultimi rappresentanti di una diplomazia d’altri tempi. Si incontrano, spesso, vis-a-vis. Sanno di gestire i dossier più amichevoli nel rapporto tra due superpotenze continuamente ai ferri corti. Sono ambasciatori di pace, prima ancora che del clima. A Cop28 si sono fatti notare pochissimo – normale per i cinesi, anomalo per gli statunitensi. Ma alla fine gli esiti più concreti della Conferenza – triplicazione delle rinnovabili, aumento dell’efficienza al 2030, generico allontanamento dal fossile – sono quelli su cui loro avevano già concordato al bilaterale di Sunnyland in novembre. Per entrambi questa è stata probabilmente l’ultima Cop: possono dire di lasciarla da vincitori.Foto: Tim Hammond/No 10 Downing Street Vladimir PutinIl presidente russo non partecipa ad una Cop dal lontano 2015, un’era geologica fa, ma la sua presenza a Dubai si avvertiva lo stesso. È la sua delegazione a spalleggiare l’Arabia Saudita nel boicottaggio di ogni compromesso. È lui a mettere il veto su quasi tutte le possibili sedi della Cop29 del 2024, finendo col far ricadere la scelta su Baku. È lui, infine, a irridere la Conferenza volando negli Emirati Arabi Uniti per parlare di petrolio a summit in corso. La sua Russia ha scommesso su un futuro senza transizione. Solo il tempo ci dirà se aveva ragione. Foto: Press Service of the President of the Russian Federation Anne RasmussenL’alleanza delle piccole nazioni insulari – un raggruppamento di 34 paesi che assieme non fanno gli abitanti di uno stato europeo di media grandezza – sa di esercitare più potere di fronte alle telecamere che nei tavoli negoziali. Anne Rasmussen, ministra dell’ambiente di Samoa e rappresentante dell’alleanza, ha giocato tutte le sue carte. Dopo la pubblicazione della bozza più deludente è corsa assieme ai suoi colleghi a parlare coi giornalisti. Nel momento della conclusione si è subito presa il palco per denunciare che «questo processo ci ha delusi». Debole, inascoltata, rappresentante di un pezzo d’umanità a cui a breve la crisi climatica rischia di togliere letteralmente la terra sotto i piedi. Ma è anche l’unica capace di ricordare lo iato che separa negoziato e realtà proprio nel momento dell’autocelebrazione. Il suo intervento finale in plenaria è stato accolto da una standing ovation liberatoria. Ma metà della sala non ha battuto le mani: tra loro, anche al-Jaber.Foto: aosis_chair/Instagram Susana MohamadIl multilateralismo a guida Onu permette a nazioni estranee al club delle grandi potenze di emergere e urlare al mondo che loro, un’alternativa, la avrebbero. È ciò che ha fatto a Cop28 la Colombia, guidata dalla carismatica ministra Susana Mohammad. Palestinese di origine – il suo speech conclusivo in plenaria si è chiuso ricordando la strage in corso a Gaza – la ministra ha annunciato lo stop al rilascio di nuove licenze per l’estrazione di combustibili fossili. Non male, per il diciannovesimo produttore mondiale di petrolio. Al contempo, ha criticato aspramente l’Occidente per l’assoluta reticenza a stanziare i fondi necessari alla transizione nel Sud globale. Una posizione tedesca sulla mitigazione e cubana sulla finanza che le vale la palma di leader della delegazione forse più progressista del negoziato.Foto: World Economic Forum/Flickr Papa FrancescoNessun pontefice era mai andato ad una Cop. Papa Francesco aveva deciso di essere il primo, è già questa è una notizia. Un’influenza lo ha costretto a rinunciare, ma il messaggio resta. Bergoglio conferma la volontà di passare alla storia come il Papa della pace e del pianeta. La sua sferzata ha avuto probabilmente scarsi effetti sui negoziatori, ma è rimasta impressa in milioni di persone nel mondo. Peccato non averla potuta pronunciare di persona.Alfredo Borba/Wikimedia Commons António Guterres«Parlo a chi ha cercato di boicottarlo a Cop28. Il phase-out è inevitabile, che vi piaccia o meno. Speriamo non arrivi troppo tardi». Con questo post su X il segretario generale delle Nazioni Unite ha commentato l’accordo a pochi minuti dalla fine della Conferenza. Guterres guida un’Onu debole su tutti i fronti – clima compreso – ma non sembra disposto ad assistere silente alla crisi della sua organizzazione. Il suo tweet finale assomiglia più ad uno sfogo che ad una celebrazione. La storia ci dirà se il phase-out, l’abbandono dei combustibili fossili, era davvero inevitabile. Noi lo speriamo.Foto: Christophe Viseux/Cop28 Cop28 Sostieni Valori! Dalla parte dell'etica, del clima, dei diritti e dell'uguaglianza. Come te. Sostienici! Dona con Satispay
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