L’immobiliare statunitense vacilla e potrebbe finire addosso a noi
Nuova aria di tempesta intorno al settore immobiliare commerciale statunitense. A tremare le banche regionali medio-piccole
Nelle settimane scorse si è parlato molto del fallimento di Evergrande, in particolare dopo che un tribunale di Hong Kong ha emesso un ordine di liquidazione per il colosso immobiliare cinese. I problemi del settore immobiliare non sembrano però circoscritti a un solo gruppo, né a un solo Paese.
Notizie ben poco rassicuranti arrivano dagli Stati Uniti, dove alcune banche hanno visto i propri titoli crollare in Borsa dopo avere annunciato perdite legate a questo settore. Secondo il quotidiano Les Echos la banca regionale statunitense New York Community Bancorp (NYCB) ha visto le proprie azioni calare del 45% del suo valore in due giorni dopo avere annunciato perdite per 185 milioni di dollari su due uniche operazioni immobiliari.
Ma come spesso avviene, problemi finanziari in una regione – e negli Stati Uniti in particolare – rischiano di contagiare l’intera finanza mondiale. La banca giapponese Aozora ha perso il 36% in due sedute dopo avere annunciato di avere dovuto mettere da parte oltre 200 milioni di euro per coprire eventuali perdite legate al proprio portafogli sull’immobiliare commerciale statunitense. Sempre per lo stesso motivo, la Deutsche Bank avrebbe accantonato 123 milioni di euro nel quarto trimestre del 2023, contro i 26 dell’anno precedente.
La crisi dell’immobiliare commerciale non è un fulmine a ciel sereno
Se la bolla dei subprime era nata sulle abitazioni residenziali, sono ora uffici e immobiliare commerciale a trovarsi in difficoltà, per non dire di peggio. Non si tratta di certo di fulmini a ciel sereno. Ne avevamo già scritto un anno fa, segnalando come le condizioni del mercato avrebbero potuto portare a una tempesta perfetta. Tra gli altri, due elementi in particolare pesano parecchio sul settore. Da un lato l’aumento dei tassi di interesse deciso dalle banche centrali per cercare di contrastare l’inflazione. Aumento dei tassi che si traduce in una crescita del costo degli affitti. Dall’altro, la pandemia da Covid che ha ridotto la domanda di uffici.
Il combinato disposto di un aumento dei costi e di una diminuzione della domanda porta a una situazione di debiti elevati rispetto a prezzi degli edifici sempre più bassi. Secondo un sito di informazione specializzato, negli Stati Uniti il 44% dei mutui e prestiti per gli uffici sarebbe in “capitale negativo”. In parole semplici, il valore dei debiti è superiore al valore della proprietà per quasi la metà dell’immobiliare commerciale a stelle e strisce.
Questa volta a essere colpite sono le banche regionali medio-piccole
Se nel caso dei subprime del 2008 le più colpite furono le grandi banche d’affari che giocavano con i derivati sui mutui, questa volta a essere sotto osservazione sono le banche regionali e di piccola-media dimensione degli Stati Uniti. Da un lato sono gli istituti storicamente più esposti nel concedere mutui e finanziamenti al settore. Dall’altro per molte di queste banche l’immobiliare commerciale rappresenta il business principale. A differenza delle grandi banche di investimento non hanno altri settori di attività grazie ai quali compensare eventuali perdite.
Alcuni analisti segnalano come in realtà la maggior parte delle banche abbia già messo a bilancio eventuali perdite e contabilizzato le difficoltà del settore. Altri al contrario avvertono che il peggio potrebbe ancora arrivare. Considerato che da qui a fine 2025 qualcosa come 560 miliardi di prestiti sull’immobiliare commerciale andranno a scadenza. Il rischio è che molti di questi prestiti non vengano rimborsati o debbano essere rinegoziati, con conseguenti perdite per il settore bancario. I prossimi mesi mostrereanno se e quanto le difficoltà dell’immobiliare potranno nuovamente trascinare il settore bancario e finanziario in una crisi. Certo è che i segnali degli ultimi giorni non sono per nulla incoraggianti.