L’inchiesta di Genova chiama in causa la BEI per i prestiti sulla diga

Con un prestito di 300 milioni di euro, la Banca europea per gli investimenti non può ignorare la corruzione intorno alla diga di Genova

Diga foranea del porto di Genova © Twice25 / WikiCommons

La maxi inchiesta per corruzione sui cantieri di Genova, che ha coinvolto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, getta un’ombra sul progetto della nuova diga foranea. La grande opera da 1 miliardo e 330 milioni di euro: la più significativa e costosa del Pnrr. Il cantiere, iniziato un anno fa e la cui conclusione è prevista per il 2026, sarebbe un intreccio di corruzione e appalti aggiudicati con metodi poco trasparenti.

Non solo, le intercettazioni agli atti dell’inchiesta dimostrerebbero pure l’inutilità dell’opera, già messa in discussione negli anni precedenti da diverse organizzazioni di cittadini. E questo chiama in causa la BEI (Banca europea per gli investimenti) che per i lavori della diga ha elargito un maxi prestito senza tenere conto delle molteplici criticità emerse fin da subito.

Infografica della diga foranea di Genova © WeBuild

Il progetto prevede infatti la costruzione di una diga lunga oltre 2,5 chilometri per 50 metri di profondità. E il costo dell’opera, inizialmente di 1,3 miliardi di euro, ora rischia di raddoppiare. A spiegarlo è l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che già nell’agosto 2023 aveva segnalato otto grandi criticità sul mancato rispetto dei princìpi di concorrenza e trasparenza. Sempre ad agosto dello scorso anno partiva un’inchiesta della procura di Genova che, tra i vari capi d’accusa, prevedeva anche il reato di turbativa d’asta

Diga di Genova, un affare per i soliti noti

Ma ancora prima dell’inizio dei lavori, nell’aprile 2023, il Tar regionale aveva annullato l’appalto per la diga. Accogliendo il ricorso presentato dall’azienda arrivata seconda nella gara. L’appalto era andato a un consorzio di imprese con a capo WeBuild: lo stesso che dovrebbe occuparsi della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. A gestire la gara era stato Paolo Emilio Signorini, oggi in carcere e uno degli indagati principali della maxi inchiesta della Procura.

Signorini, oltre a essere l’ex-presidente dell’Autorità Portuale di Genova, è anche commissario straordinario per la diga in costruzione. Nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta, Giovanni Toti sosterrebbe che la diga sia stata avviata per fare un favore ad Aldo Spinelli, l’imprenditore che secondo l’accusa è il principale corruttore di Toti e Signorini. E che attraverso la realizzazione della nuova diga avrebbe moltiplicato il suo giro d’affari.

Giovanni Toti e il ministro Matteo Salvini all’inaugurazione del cantiere della nuova diga di Genova © WeBuild

Inoltre, i costi rischiano di crescere anche perché sarebbe stata ignorata la sentenza del Tar ligure. Quindi, i lavori sono andati avanti nonostante l’annullamento della gara d’appalto. E oggi si rischia di pagare due volte: all’impresa che di fatto sta lavorando e a quella che ha vinto il ricorso. Nonostante questo, venerdì scorso il ministro Matteo Salvini ha presenziato all’ennesima inaugurazione dei lavori. Peccato che il primo cassone della diga sembra non avere nemmeno raggiunto il fondo del mare.

Tramite BEI in ballo ci sono i soldi dell’Europa

«Data la gravità di queste accuse, è imperativo condurre una rivalutazione approfondita della legittimità e dell’integrità del progetto», scrive Counter Balance, una rete di nove Ong impegnate dal 2007 a verificare la correttezza dei finanziamenti. Che richiede più trasparenza nell’operato della BEI. Infatti, la diga di Genova dovrebbe fare affidamento anche su un prestito del valore di 300 milioni di euro elargito proprio dalla Banca europea per gli investimenti.

Counter Balance chiede quindi di sospendere il finanziamento, in attesa di indagini più approfondite che confermino il rispetto della legge: «In qualità di autorità di regolamentazione, invitiamo la Banca a dare priorità all’interesse pubblico, agli standard ambientali e all’analisi fiscale delle iniziative che sostiene. Solo attraverso uno sforzo concertato per affrontare le preoccupazioni di fondo e correggere le carenze sistemiche si può realizzare la promessa di uno sviluppo sostenibile e di infrastrutture responsabili».

La diga di Genova non rispetta gli standard di sostenibilità

Oltre ai dubbi sugli appalti, il progetto della nuova diga foranea di Genova deve affrontare una serie di sfide ambientali che mettono in ombra i suoi presunti benefici. La costruzione e l’espansione dell’infrastruttura portuale, insieme alle attività di dragaggio, rappresentano infatti una grave minaccia per la biodiversità marina, gli habitat protetti e il fragile ecosistema del Mediterraneo. Con la violazione di diverse direttive e convenzioni dell’Ue, tra cui gli standard ambientali e sociali della stessa BEI.

Per questo motivo lo scorso anno CEE Bankwatch e ReCommon hanno presentato una richiesta alla Commissione europea sollevando preoccupazioni relative alle carenze del processo di Valutazione d’impatto ambientale (VIA) e sulla necessità di una valutazione più completa e del rispetto degli standard di conservazione. I nuovi frangiflutti previsti, ad esempio, devono affrontare una marea di incertezze tecniche e sfide di fattibilità. In particolare per quanto riguarda la metodologia non testata per il consolidamento del fondale marino e la profondità della costruzione.

Ora la BEI deve assumersi le sue responsabilità

Non appare un caso se l’ingegner Piero Silva, incaricato di supervisionare la fattibilità tecnica dell’opera, si sia dimesso prima dell’inizio dei lavori dal ruolo di direttore tecnico. Motivando la sua decisione con queste parole: «Per un progetto di tali dimensioni, ammesso e non concesso che il consolidamento geotecnico si riveli fattibile, ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori».

Visti i rischi tecnici e le spese eccessive, nonché la mancanza di trasparenza sugli appalti, una rivalutazione complessiva del progetto si fa sempre più necessaria. Anche per affrontare la discrepanza tra gli obiettivi del progetto e gli imperativi più ampi di sostenibilità socio-economica e ambientale. Mettendo in discussione, in tale processo, la responsabilità degli istituti bancari. A partire proprio dalla BEI, la Banca europea per gli investimenti che ha elargito il prestito.