Dall’Europa (piccoli) passi avanti sulla finanza sostenibile

L’Esma ha pubblicato nuove linee guida per contrastare il diffuso greenwashing nel mondo della finanza sostenibile

L'Unione europea prova a fare ordine nel settore della finanza sostenibile © richterfoto/iStockphoto

Nei giorni scorsi l’Esma, l’ente di supervisione europeo su mercati e strumenti finanziari, ha pubblicato un report contenente le linee guida che devono rispettare i fondi che vogliano usare termini legati alla sostenibilità. Un percorso necessario per cercare di contrastare il gigantesco greenwashing. Negli ultimi anni il mondo della finanza ha fatto a gara per presentarsi come sostenibile, attento all’ambiente, verso le emissioni zero e chi più ne ha più ne metta. Andando a vedere sotto la superficie, però, ci si accorge come a tale proliferare di dichiarazioni e impegni non è seguito un corrispondente cambio di rotta nelle politiche di investimento.

I tentativi dell’Unione europea di regolamentare la finanza sostenibile

L’Unione europea ha promosso una serie di regole e direttive per definire e inquadrare la finanza sostenibile. Un’attività normativa che non sembra però a oggi essere stata in grado di fare cambiare strada al sistema finanziario, né di evitare tale inaccettabile distanza tra le dichiarazioni e l’operatività quotidiana.

Per fare un esempio, una delle principali regolamentazioni europee – la Sustainable Finance Disclosure Regulation o SFDR – è entrata in vigore nel 2021. Vengono definite due tipologie di fondi sostenibili: quelli che promuovono caratteristiche ambientali e sociali (cosiddetti fondi Articolo 8) e quelli che hanno proprio come obiettivo gli investimenti sostenibili (fondi Articolo 9). Una ricerca del 2023 mostrava come ben il 73% di questi fondi era però esposta sui combustibili fossili.

Analogamente, molte altre analisi hanno mostrato come la gran parte dei fondi che usa nel proprio nome termini quali “sostenibilità”, “clima”, “ESG”, “transizione” o simili, poi, adotta politiche di selezione dei titoli e di esclusione di quelli più inquinanti del tutto insufficienti.

Cosa prevedono le nuove linee guida dell’Esma

Le linee guida appena pubblicate dall’Esma stabiliscono che, per potere utilizzare questi termini, come minimo l’80% degli investimenti deve riguardare asset sostenibili, ovvero che possano dimostrare obiettivi di investimento ambientali o sociali.

Da un lato questo dovrebbe portare a una maggiore corrispondenza tra quanto pubblicizzato da un gestore in materia di sostenibilità e gli investimenti effettivamente realizzati. Dall’altro, vista anche l’esperienza degli ultimi anni, rimangono molti dubbi sull’effettiva capacità di eliminare o, per lo meno arginare, il greenwashing del settore finanziario. Fino a oggi la partita tra finanza e istituzioni sembra il gioco del gatto col topo.

Il problema è che, oltre alle definizioni, servirebbe un deciso salto in avanti riguardo la trasparenza di una finanza che rimane incredibilmente opaca. Ancora prima, fino a oggi le istituzioni hanno promosso elenchi di quali attività possano definirsi sostenibili (la cosiddetta tassonomia verde). Manca però il lavoro speculare di inquadramento delle attività che devono essere escluse.

È cosi che moltissimi fondi possono fregiarsi della patente di sostenibilità continuando a investire massicciamente nelle fonti fossili e in altri settori con pesanti impatti sul clima. Le linee guida dell’Esma potrebbero rappresentare un passo nella giusta direzione. Al momento, però, appare per lo meno improbabile che possano essere sufficienti per mettere fine a tali pratiche. E per permettere alla platea crescente di risparmiatori che vogliono investire in maniera sostenibile di poterlo fare nel rispetto delle proprie volontà.