Ottimi risultati per i green bond italiani. Ma sono davvero utili al clima?
I green bond sono in crescita. Ma per un vero cambiamento di rotta serve ben più di un nuovo nome per i titoli di Stato
Secondo un comunicato stampa del ministero dell’Economia e delle Finanze, nello scorso anno l’Italia ha emesso BTP Green per un controvalore di 13,9 miliardi di euro. Risorse che sono state destinate in primo luogo al settore dei trasporti (41,5%) e dell’efficienza energetica degli edifici (32,7%). Seguono tutela dell’ambiente, prevenzione e controllo dell’inquinamento, economia circolare e altri ancora.
È una conferma che i cosiddetti green bond, ovvero obbligazioni che servono a raccogliere risorse da impiegare in investimenti con impatti positivi su clima e ambiente, sono in crescita in tutto il mondo. A testimonianza della crescente attenzione, l’Unione europea ha intrapreso un percorso legislativo per inquadrare sia le caratteristiche che devono avere i titoli “green” sia gli standard di trasparenza e informazioni al pubblico che devono rispettare.
Se la notizia è quindi sicuramente positiva, rimane un grande punto interrogativo su questi strumenti: sono davvero in grado di fornire un contributo nel contrasto ai cambiamenti climatici?
A cosa servono i green bond italiani
Secondo il comunicato del MEF, «gli interventi finanziati producono effetti in termini di valore aggiunto quantificabili in circa 20 miliardi di euro corrispondenti all’1% del PIL italiano del 2023. Tale incremento della produzione dà luogo, inoltre, a importanti effetti sulla domanda di lavoro, con una ricaduta occupazionale quantificabile in oltre 320 mila posti di lavoro». Ottimo che si facciano investimenti nell’efficienza, nella transizione energetica e nella mobilità sostenibile. Ottime anche le ricadute occupazionali. Il dubbio però riguarda l’utilità e l’addizionalità dei green bond.
Prima dell’era dei green bond, lo Stato italiano emetteva un certo quantitativo di titoli quali BOT, BTP e altri. Con questi – assieme ovviamente alla riscossione di tasse e imposte – copriva la spesa e gli investimenti, dalla sanità alle pensioni, dalla difesa ad altri ambiti ancora. Tra i quali c’erano interventi con un impatto positivo sull’ambiente. Ora, tra i diversi titoli di Stato, alcuni sono denominati BTP Green, e con questi lo Stato dichiara di finanziare metropolitane, piste ciclabili, energia rinnovabile e dintorni. Ma dov’è il valore aggiunto nel denominare alcuni titoli di Stato “green”?
Gli strumenti finanziari ad hoc servono a poco, se manca una visione d’insieme
Il sospetto è che in alcuni casi si possa addirittura ragionare al contrario. Visto che c’è un mercato per i green bond, si vanno a cercare spese e investimenti che comunque sono pianificati e previsti e che possano soddisfare i criteri richiesti per questi titoli. Dichiarando a posteriori che i capitali raccolti sono stati usati proprio per quegli interventi.
Capitali che finiscono comunque nel calderone della spesa pubblica. In altre parole, se un governo volesse investire per una riconversione dell’economia o per l’uscita dalle fossili, potrebbe farlo benissimo finanziandosi tramite gli strumenti tradizionali. Dall’altra parte, accanto alle misure finanziate con i green bond, lo Stato continua a sussidiare le fonti fossili, il trasporto su gomma e altri settori con pesanti impatti sul clima.
Per un cambio di rotta, quello che serve è una visione d’insieme del governo, politiche industriali, scelte in materia energetica di lungo periodo e altro ancora. Se non c’è un indirizzo preciso in questa direzione, decidere se denominare un titolo BTP o BTP Green per coprire determinati interventi sembra fare davvero poca differenza.