Pibiesse, la tipografia che guarda al futuro

La Pibiesse è una tipografia, ma anche un progetto di innovazione sociale che vuole diventare modello per la riqualificazione del territorio

© Pibiesse

L’agro nocerino-sarnese è il territorio di cerniera tra Napoli e Salerno. Conta 14 comuni e ha una popolazione di 300mila persone a fronte di una superficie di quasi 190mila chilometri quadrati. È un’area martoriata dal sacco edilizio degli anni Ottanta e dalla criminalità organizzata. Qui la feroce industrializzazione mordi e fuggi degli anni Sessanta ha lasciato solo macerie e un tasso di disoccupazione che si aggira intorno al 40%. Qui scorre il fiume Sarno, tra i più inquinati d’Europa e del mondo.

E qui opera la Pibiesse, una tipografia vecchio stile ma anche un progetto di innovazione sociale. La cui ambizione è diventare modello per la riqualificazione del territorio. 

Una fabbrica e un progetto di innovazione sociale

Una fabbrica riconvertita in termini ecologici, in cui si stampa su diversi supporti e si realizza gran parte del materiale diffuso per le campagne pubblicitarie nazionali delle principali organizzazioni sociali e culturali di questo Paese. ARCI e CGIL innanzitutto, ma anche una miriade di associazioni e comitati grandi e piccoli, oltre a grandi alberghi e realtà produttive.

La sede di una cooperativa sociale che si occupa di accoglienza diffusa, riuso dei beni confiscati, agricoltura e innovazione sociale. Un’industria in cui operai e direzione discutono democraticamente di quali macchinari acquistare, quali produzioni avviare, quali commesse accettare, quali tempi di lavoro adottare. Qui si fa la settimana corta. Un’esperienza che vuole fare da cinghia di trasmissione tra profit e non profit. Che collabora con i beni pubblici e confiscati sul territorio e vuole fare del posto di lavoro un luogo di alfabetizzazione politica e culturale. Una storia dal futuro.

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© Pibiesse

Una storia in due fasi

La storia della Pibiesse vive di due fasi. C’è un prima, che vede la fondazione della fabbrica negli anni Ottanta e la crescita dell’attività imprenditoriale. E c’è un dopo. Nel 2020 è stata rilevata da un giovane del territorio che ha deciso di trasformarla in un modello di innovazione sociale. «La fabbrica – racconta Mariano Di Palma, attuale amministratore – era un’attività molto riconosciuta nel settore. Si occupava di stampa tipografica e personalizzazione per l’editoria, per grandi catene di alberghi e altre attività del territorio, così come produzione di gadget e serigrafia. Nel 2020 era un’attività giunta quasi a fine vita: la proprietà era molto anziana e non in grado di effettuare i necessari investimenti di riconversione». Per questo lui, tornato a casa da qualche anno dopo un decennio romano, ha scelto di scommettere su quell’area in via di spopolamento e devastata dalla deindustrializzazione. 

Da allora si è allargato l’ambito di lavoro, che adesso copre quasi tutta la produzione pubblicitaria di organizzazioni sociali e culturali, ma anche gli ambiti di attività. 

«Quando ho scelto di rilevare la Pibiesse – dichiara Mariano – avevo di fronte un’azienda con una splendida storia, con sede in un immobile dalle infinite potenzialità e che, fino a quel momento, era stato utilizzato solo per la metà degli spazi disponibili». Con la rilevazione arrivano le novità, una dopo l’altra. I nuovi macchinari, la riconversione ecologica della produzione, la riqualificazione dello stabile.

La cooperativa sociale Eteria

A un anno dal cambio della proprietà, nasce un nuovo attore: la cooperativa sociale Eteria. «Volevamo coniugare il carattere dell’impresa classica con quello dell’impresa sociale e con la cooperazione. L’ambizione è che la fabbrica divenga il luogo di sviluppo operativo della cooperativa». In questo momento Eteria è impegnata in un progetto di accoglienza diffusa SAI grazie al quale fornisce un alloggio a 65 rifugiate e rifugiati in diversi immobili nell’agro nocerino sarnese. «Attraverso la fabbrica, spiega Mariano, costruiamo percorsi di inclusione lavorativa».

Ma c’è anche un versante agricolo, generato dalla collaborazione con il fondo agricolo Nicola Nappo, un bene confiscato dell’area dove sono in atto progetti di formazione come la Scuola di Agricoltura Sociale destinata a rifugiate e rifugiati: «Per noi è uno strumento di formazione, ma anche di contrasto al caporalato in una terra in cui spesso l’agricoltura è connessa a storie di sfruttamento». 

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© Pibiesse

La riconversione parte dalla struttura

La sede della Pibiesse è parte integrante del suo processo di riconversione. L’immobile, un complesso storico di 4mila metri quadri, è diviso in tre piani e per ognuno di questi c’è uno specifico progetto di valorizzazione produttiva e sociale.

Il pianterreno e il primo piano sono dedicati alla produzione industriale. Per il secondo piano l’intenzione è costruire «uno spazio modulare, con un centro di formazione professionale collegato alla stampa tipografica, serigrafica e litografica, ma anche alla fotografia e alle piccole produzioni audiovisive in partnership con diverse realtà del territorio». La superficie di 600 metri quadri ospitava l’appartamento del custode della fabbrica e della sua famiglia, con tanto di terrazzo panoramico sul territorio, e diverrà la sede di una nuova cooperativa sociale, gemmazione di Eteria. Quest’ultima sarà animata da donne provenienti da percorsi di uscita dalla violenza, che si dedicheranno alla produzione culturale trasformando lo spazio in un circolo e organizzando eventi culturali lì e sul territorio. Oltre al centro, aprirà anche una piccola scuola tipografica per bambine e bambini, per avvicinarli alla lettura. E una scuola delle arti di stampa in cui gli operai della fabbrica saliranno in cattedra per formare minori in carcere.

Negli ultimi quattro anni la Pibiesse è passata da 8 a 16 lavoratori; la cooperativa Eteria, fondata nel 2021, conta 15 soci. Da quando l’azienda è stata rilevata il fatturato è triplicato. Secondo la direzione attuale, le previsioni per i prossimi cinque anni sono di una crescita molto importante. 

L’economia sociale non è mera testimonianza

«Con il nostro lavoro vogliamo dimostrare una convinzione – racconta Mariano –. Gli esperimenti di economia sociale non sono solo operazioni di testimonianza ma possono essere esperienze scalabili. La Pibiesse è una “storia dal futuro” perché costruisce un’esperienza di crescita di posti di lavoro, del fatturato, della qualità, in termini ecologici e di gestione democratica e condivisa. Perché per noi è anche un luogo di alfabetizzazione democratica, politica, sociale e culturale per chi la vive ogni giorno.

«L’obiettivo – conclude – non è solo produrre una stabilità per chi ci lavora ma che quest’ultima, quest’ultimo, acquisisca protagonismo nei processi che riguardano la fabbrica e ciò che c’è fuori di essa». Oltre alla collaborazione con il Fondo Nappo, spiega, c’è anche quella con l’associazione Ridiamo vita al Castello che, nel Castello Fienga di Nocera Inferiore organizza un fitto calendario di iniziative. «Il nostro segreto è che stiamo completamente nel nostro territorio, a partire dalle sue contraddizioni, per costruire una storia diversa. Una storia che non sia isolata – mi spiega – ma che ambisca a diventare un modello. Vogliamo che le gente pensi “Se si è fatto a Nocera Inferiore, si può fare dappertutto”». 


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