Nel Sudan piegato dalla guerra, anche il fintech è di supporto alla popolazione
Il conflitto in Sudan ha mostrato le potenzialità del fintech per alleviare le difficoltà della popolazione. Ma permangono dei limiti
In zone di crisi e aree di guerra, può facilmente accadere che i canali tradizionali per accedere a denaro e servizi di pagamento non siano più disponibili. In queste situazioni il fintech, l’innovazione tecnologica applicata ai servizi finanziari, può rappresentare un’ancora di salvezza. E spesso, non pare esagerato dire, aiutare a salvare vite.
Il ruolo del fintech durante la guerra in Sudan
Allo scoppio del conflitto in Ucraina, un imprenditore russo del fintech ha messo a disposizione dei clienti della sua app la possibilità di effettuare donazioni gratuite istantanee e di trasferire fondi senza commissioni a supporto della popolazione ucraina. Che in contesti di guerra il fintech rappresenti una grande opportunità è emerso però in modo particolarmente evidente soprattutto in Sudan. Il conflitto che infuria da aprile dello scorso anno ha avuto un impatto apocalittico sulla popolazione, con milioni tra sfollati interni e rifugiati all’estero. Secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), strumento sviluppato vent’anni fa in ambito FAO, in Sudan più della metà della popolazione soffre di un livello acuto di insicurezza alimentare. Stiamo parlando di oltre 25 milioni di persone.
Aiuti umanitari a parte, quando si riescono a trovare cibo e altri beni indispensabili per la sopravvivenza, come i farmaci o gli stessi titoli di viaggio che permettono di scappare, nasce ovviamente la questione di come pagare. Perché girare coi contanti è evidentemente molto rischioso. E comunque i contanti prima o poi finiscono, specie quando è complicato trovare sportelli bancari ancora attivi e lo è ancora di più attraversare quartieri assediati per cercare di raggiungerli.
Allora, molte delle residue speranze di avere a disposizione denaro da spendere si affidano appunto al fintech, cioè a internet, cellulari e app. Esempio emblematico è Bankak, l’applicazione mobile digitale della Banca di Khartoum, la capitale. Sviluppata a partire dal 2014, è diventata uno dei più grandi servizi fintech del Sudan, con oltre 7 milioni di utenti. Dall’inizio della guerra, le attivazioni della app sono aumentate dell’85%.
Un ecosistema digitale in costruzione
Bankak è fra le app di fintech più utilizzate in Sudan, ma non è l’unica. Un’altra è O-Cash, della Omdurman National Bank. Entrambe legate a istituti finanziari, per funzionare hanno bisogno che si apra fisicamente un conto bancario. Ci sono invece altre app fintech in Sudan, come MyCash e RittalPay, che non ne hanno bisogno. Un’altra piattaforma è Cashi. Sviluppata a partire dal 2020 a supporto dei pagamenti digitali per le attività commerciali (fra cui Alsoug, il più grande marketplace online sudanese), successivamente è entrata nel mercato dei consumatori con la app MyCashi. Sono segnali del fatto che, sebbene a piccoli passi, si cominciano quanto meno a tratteggiare i contorni di un ecosistema fintech in Sudan. E l’immane tragedia della guerra, rendendo l’accesso a denaro e servizi di pagamento ancor più di vitale importanza, ha reso probabilmente non solo auspicabile ma obbligatoria una forte accelerazione in tal senso.
Del resto, già prima del conflitto il Sudan guardava al fintech come a un tassello fondamentale per aumentare il grado di inclusione e trasparenza finanziaria e contenere la corruzione. Nel 2020 il Paese aveva aderito alla Better Than Cash Alliance, iniziativa lanciata dalle Nazioni Unite per accelerare la transizione dai pagamenti in contanti a quelli digitali promuovendo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Sempre nel 2020, con l’emergenza Covid-19, il Sudan in accordo col World Food Programme dell’Onu aveva anche lanciato il programma Sudan Family Support, per fornire trasferimenti diretti a circa l’80% delle famiglie sudanesi per via digitale.
I limiti della diffusione del fintech in Sudan
Ovviamente neppure il fintech, nonostante le sue grandi potenzialità, è onnipotente. Perciò deve far conto coi propri limiti. Che, di nuovo, nel caso del Sudan sono particolarmente evidenti.
Oggi, infatti, le maggiori app fintech attive richiedono l’esistenza di un conto bancario. In Sudan, Paese prevalentemente rurale con una sterminata superficie di 1,8 milioni di chilometri quadrati (più di sei volte l’Italia), circa l’85% della popolazione ne è sprovvista. Va da sé che questo è un gigantesco limite alla loro diffusione. I combattimenti, inoltre, hanno aggravato e reso molto più frequenti i blackout, i guasti e le interruzioni nelle telecomunicazioni, oltre a distruggere varie infrastrutture. In un tale contesto, anche la migliore delle app non può nulla. Come non può nulla di fronte all’iper-inflazione a tre cifre che abbatte il potere di acquisto. Anch’essa è figlia della guerra che, tra le altre cose, determina interruzioni nelle catene di approvvigionamento.
Un dato invece positivo è quello sulla penetrazione dei telefoni cellulari, a cui può accedere ben il 77% dei sudanesi. È da dati come questo che il fintech deve partire, se vuole diventare davvero uno strumento con cui provare su larga scala almeno a contenere l’impatto devastante delle guerre sulla vita quotidiana di chi ne è vittima.