Cinque risposte a chi vi fa domande strane sulle banche etiche

Il VII Rapporto sulla Finanza Etica in Europa mette le banche etiche a confronto con quelle tradizionali attraverso il modello CAMEL

Domande e risposte sulle banche etiche © EyeEm Mobile GmbH/iStockphoto

Se avete il conto o investimenti in una banca etica vi sarà forse capitato di dover rispondere a domande di questo tipo: «Ma non ci rimetti?». «Va bene l’ambiente e il sociale. Ma quanto ti costa?» Il VII Rapporto sulla Finanza Etica in Europa, pubblicato il 29 novembre, vi aiuta a rispondere a queste ed altre domande. Lo fa confrontando le 26 banche etiche europee con 60 grandi “banche significative”, vigilate direttamente dalla Banca Centrale Europea (BCE).

Per comparare i due gruppi di banche il rapporto, edito da Fondazione Finanza Etica e Febea (Federazione europea delle banche etiche), usa il modello CAMEL. È un sistema di valutazione riconosciuto a livello internazionale che le autorità di vigilanza bancaria utilizzano per valutare le istituzioni finanziarie. Un ‘cammello a cinque gobbe’, come viene chiamato dagli autori della ricerca. Dove C sta per adeguatezza del Capitale, A per qualità degli Attivi, M per Management, E per Earnings (profitti) e L per Liquidità.

Prima risposta: le banche etiche sono molto solide

Partiamo dalla prima gobba: l’adeguatezza del capitale. Adeguatezza significa poter rispondere con un sì convinto a questa domanda: la banca ha abbastanza soldi propri messi da parte per poter affrontare eventuali rischi?

L’indicatore utilizzato in questo caso si chiama Tier 1 ratio. A numeratore c’è il capitale Tier 1, quello più solido, e a denominatore ci sono gli attivi ponderati per il rischio. Tra gli attivi, infatti, i crediti concessi alla clientela sono considerati più rischiosi. Mentre, per esempio, gli investimenti in titoli di Stato europei o statunitensi sono considerati meno rischiosi.

Il risultato è chiaramente a favore delle banche etiche. Il loro rapporto Tier 1 è pari al 23,32% mentre per le banche significative analizzate è pari al 17,23%. Entrambi i gruppi di banche considerati superano in ogni caso la soglia minima dell’11% richiesta dalla BCE.

Seconda risposta: le banche etiche devono gestire più rischi perché concedono più crediti

Passiamo alla seconda gobba: la qualità degli attivi. Anche in questo caso si tratta di un rapporto. A numeratore ci sono gli attivi pesati per il rischio (RWA o risk weighted assets) e a denominatore c’è il totale degli attivi. Gli attivi sono le attività che la banca svolge per ricavare soldi. In particolare si tratta di prestiti concessi a famiglie e imprese oppure investimenti in titoli di Stato o azioni.

Il risultato questa volta è a favore delle banche significative. Gli attivi pesati per il rischio sono pari al 43,76% del totale degli attivi per le banche etiche e al 35,85% per le banche significative. Quindi le banche etiche, in proporzione, guadagnano soldi dedicandosi ad attività più rischiose rispetto alle banche significative.

Se si legge bene il rapporto si capisce però che questo è normale. Perché le grandi banche significative, in media, concedono meno prestiti, che sono a rischio di non essere restituiti. E investono più risorse in titoli di Stati ricchi, con rischio vicino a zero, perché è molto improbabile che uno Stato ricco fallisca.

Quindi le banche etiche hanno attività più rischiose ma questo è positivo, perché significa che danno più prestiti a chi ne ha bisogno. E aiutano la crescita dell’economia reale: agricoltori che comprano trattori, scuole che costruiscono nuove aule o persone che ristrutturano o comprano la casa dove vivranno.

Terza risposta: fare finanza etica costa di più (alle banche, non ai clienti)

La terza gobba riguarda la cosiddetta qualità della gestione. È un indicatore che, come il precedente, sta un po’ stretto alle banche etiche. Perché si misura come rapporto tra i costi di gestione e i profitti (il cosiddetto cost-to-income ratio). Quanto costa nei due gruppi di banche produrre lo stesso livello di profitto? Risposta: per le banche etiche costa un po’ di più. I costi (amministrativi e del personale) sono pari al 65,74% dei profitti (intesi come margine di intermediazione). Mentre per le banche significative sono più bassi: 52,60%.

Quindi le banche significative sono più efficienti? Non necessariamente. Perché, come abbiamo detto sopra, hanno attività diverse rispetto alle banche etiche, che generano meno costi amministrativi o per il personale. Del resto, per investire in un titolo di Stato basta premere un bottone e da quel momento la banca inizia a percepire regolarmente interessi. Per concedere un credito serve un’attenta valutazione del creditore, che deve poi essere seguito per tutta la durata del finanziamento. Il tempo e le risorse umane messe a disposizione dalla banca per l’attività creditizia sono molto maggiori rispetto all’attività di investimento finanziario. Come se non bastasse, le banche etiche affiancano alla valutazione economico-finanziaria dei crediti una valutazione socio-ambientale. Che richiede ancora più tempo e risorse umane.

Quarta risposta: le banche etiche guadagnano almeno come le banche tradizionali

Passiamo quindi alla quarta gobba, quella dei profitti. Guadagnano le banche etiche o fanno beneficenza? Nel Rapporto di Fondazione Finanza Etica e Febea c’è un paragrafo molto dettagliato su questo tema. Con due indicatori: il ROE (ritorno del capitale proprio) e il ROA (ritorno degli attivi). Entrambi sono validi ma, per una serie di ragioni, il ROA è più adatto per il confronto tra i due gruppi di banche.

Negli ultimi dieci anni il ROA è stato sempre un po’ più elevato per le banche etiche rispetto alle banche significative. Tranne che nel 2021, dove è stato uguale, e nel 2022, dove è stato leggermente superiore per le banche significative.

Le banche etiche risultano essere storicamente un po’ più redditizie rispetto alle grandi banche significative. Questa differenza si è però azzerata negli ultimi due anni. Quindi possiamo dire che oggi guadagnano almeno come le banche tradizionali.

Quinta risposta: le banche etiche sono liquide (almeno quanto le banche tradizionali)

L’ultima gobba riguarda la liquidità e cioè la capacità di far fronte rapidamente a richieste inattese di denaro liquido da parte della clientela. Nel Rapporto è misurata dall’indice LDR o Loan-to -Deposit ratio. Dove a numeratore ci sono i prestiti alla clientela e a denominatore i depositi dei risparmiatori. Se il rapporto è troppo alto, la banca potrebbe non avere sufficiente liquidità per coprire eventuali richieste impreviste da parte dei depositanti. Al contrario, se il rapporto è troppo basso, la banca potrebbe non guadagnare quanto potrebbe dalla concessione di crediti alla clientela.

Anche se non esistono precisi requisiti normativi su questo indicatore, in genere si considera che il range ideale sia tra l’80% e il 90%. Negli ultimi dieci anni per le banche etiche la media è stata pari a 81,4% mentre per le banche significative a 100,2%. Negli ultimi tre anni anche le banche significative sono però rientrate nel range, con valori molto simili a quelli delle banche etiche.

Due missioni differenti

Dopo questo breve saliscendi sulle gobbe del CAMEL, vi sarà forse più facile rispondere alle domande di amici e parenti. Potreste poi aggiungere che, in genere, gli indicatori che misurano il rendimento delle banche etiche sono abbastanza costanti nel tempo. Mentre per le banche significative sono più ballerini: in alcuni anni salgono molto, in altri scendono altrettanto decisamente. Questo perché le banche etiche rimangono fedeli alla propria missione, qualunque sia la situazione dei mercati. Concedere prestiti all’agricoltura biologica, alle energie rinnovabili, alle case ad alta efficienza energetica. E, in generale, investire i soldi in attività che non danneggino l’uomo e l’ambiente.

Le grandi banche significative, invece, sono più opportuniste. A muoverle è la ricerca del miglior modo di fare profitto nelle diverse situazioni di mercato: tassi bassi o alti, mercati galoppanti o impallati. Senza per forza dover scegliere tra armamenti o scuole, aziende agricole biodinamiche o convenzionali, energia solare o petrolio. Prestiti o investimenti in titoli. Poi, chiaramente, ogni risparmiatore è libero di fare le scelte che preferisce.