Il report d’impatto: lo strumento migliore per valutare i business di un’impresa

Cosa viene indicato in un report di impatto e perché è differente rispetto ai tradizionali resoconti sulla sostenibilità aziendale

Giulia Tosetti
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Giulia Tosetti
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Bilanci di sostenibilità, bilanci integrati, dichiarazioni non finanziarie, report d’impatto, bilanci sociali, informative sui rischi climatici (TCFD). In primavera, assieme a quelli finanziari, sui siti di numerose imprese si moltiplicano i documenti che puntano a porre l’accento sulle iniziative legate alla tutela dell’ambiente, alla lotta ai cambiamenti climatici, al miglioramento delle condizioni di lavoro, al rispetto dei diritti umani o alla trasparenza in materia fiscale. Attraverso la pubblicazione di informazioni non-finanziarie le imprese perseguono un duplice obiettivo. Da un lato, vogliono mantenersi in linea con un quadro normativo complesso ed in evoluzione. Dall’altro, puntano ad aumentare la trasparenza verso stakeholder sempre più attenti e consapevoli.

Le conseguenze non economiche delle azioni economiche

In quanto finanziatrici, in particolare, le banche possono rivestire un ruolo chiave nell’indirizzare i capitali verso finanziamenti sostenibili (o etici). Un passaggio fondamentale per sostenere, ad esempio, la transizione ecologica. Ma più in generale una crescita sostenibile. Scegliere come investire, infatti, significa non limitarsi a valutare gli impatti meramente finanziari. Ma anche le ricadute non economiche.

Per questo i rapporti sulla sostenibilità presentano dei limiti. Spesso, infatti, essi elencano (e magnificano) i progressi effettuati nel rispetto di standard ESG (ambientali, sociali e di governance). Ma un’azienda, una banca, un fondo d’investimento possono aver avviato effettivamente iniziative lodevoli. Investito in progetti innovativi e virtuosi. E nei loro rapporti saranno tutti raccontati con dovizia di particolari. Ma magari, a fronte di tali business, ce ne sono altri che invece puntano al profitto ad ogni costo. Senza curarsi delle ricadute sulla natura, sulla biodiversità, sui lavoratori, sulla disuguaglianza o la povertà.

Cos’è un report d’impatto

«Ciò significa che è necessario guardare non solo all’impatto positivo in termini assoluti, ma anche alla proporzione di tale impatto positivo rispetto agli impatti totali», spiega Tommaso Rondinella, responsabile Modelli di impatto e Valutazione socio-ambientale di Banca Etica. È per questa ragione che occorre poter valutare quale sia, nel complesso, l’impatto di un soggetto. Cosa ha comportato la sua presenza nel mondo, tenendo conto di tutto. In questo senso, uno strumento importante è, appunto, il report d’impatto.

Quest’ultimo contiene dati, informazioni, infografiche, tabelle che illustrano le conseguenze complessive, su società e ambiente, di tutte le attività. In altre parole, le conseguenze non economiche delle azioni economiche. Come nel caso della carbon footprint per esempio, ovvero l’impatto totale in termini di emissioni di CO2 di tutti i business avviati. Un approccio olistico, che tiene conto degli impatti diretti e di quelli indiretti.

Nel caso di una banca, si può ad esempio tenere conto delle emissioni prodotte dagli spostamenti dei dipendenti. O di quelle derivanti dai mutui per la casa concessi alla clientela. O ancora si possono misurare i risultati concreti ottenuti con i green bond o con i finanziamenti all’imprenditorialità femminile.

Chi pubblica dei report d’impatto in Europa

Un lavoro fondato sulla trasparenza. Che non molti attori hanno deciso di effettuare nel panorama bancario europeo. A pubblicare report d’impatto, in Francia, sono stati France Active, La Nef e la Fondazione Crédit Coopératif. In Irlanda Community Finance Ireland. In Spagna Coop57 e Colonna Caixa Pollença. E ancora in Svizzera Alternative Bank Suisse, in Belgio Credal e Inpulse. E Erste Group in Austria.

Per costruire un report d’impatto occorre dunque uno sforzo particolare. Soprattutto di onestà nei confronti del pubblico. Concretamente, possono essere utilizzati alcuni strumenti al fine di valutare i propri business. È il caso, ad esempio, dell’Impact Appetite Framework (IAF): «Un sistema – spiega Banca Etica – che consente di monitorare trimestralmente le attività creditizie e di investimento al fine di valutarne l’impatto in termini sociali e ambientali. In seguito alla fase di monitoraggio e sulla base dei valori attribuiti a una serie di indicatori, vengono identificate delle azioni correttive volte a mitigare e ridurre il rischio di sostenibilità della Banca. Lo IAF è stato introdotto per analogia con il Risk Appetite Framework (RAF), previsto dalla normativa bancaria».

Anche il rating ESG, pur con tutti i suoi limiti, può essere utile. Poiché costituisce una misura sintetica del profilo ESG dei clienti. Rendicontare gli impatti reali dei propri business, insomma, riveste grande importanza. Anche per consentire a investitori e clienti di fare scelte più sostenibili ed etiche.