La corsa all’oro delle banche centrali ha un prezzo nascosto per il Pianeta

Più le banche centrali accumulano oro, più le compagnie minerarie estraggono. Con un enorme impatto ambientale e vaste sacche di illegalità

Chiara Ricciolini
Una delle più grandi miniere d'oro a cielo aperto del mondo, in Australia © Bahnfrend/Wikimedia Commmons
Chiara Ricciolini
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I caveau delle banche centrali si stanno riempiendo d’oro. Trattandosi del bene rifugio per eccellenza, la sua domanda cresce con l’aumento delle tensioni geopolitiche e commerciali. Ma ciò significa anche che l’attività estrattiva accelera, avvelenando i fiumi, desertificando le foreste e intossicando l’aria.

Quanto oro hanno accumulato le banche centrali

Di fronte a inflazione e instabilità globale, le banche centrali hanno accumulato oltre 3mila tonnellate di oro negli ultimi tre anni. Una tendenza rafforzata dalla guerra in Ucraina. Nessun default, nessuna svalutazione, nessun governo a influenzarne il valore: l’oro resta l’asset strategico per eccellenza in tempo di crisi.

Nel 2024 le riserve globali hanno superato le 39mila tonnellate, con un incremento di oltre 1.000 tonnellate per il terzo anno consecutivo, più del doppio della media registrata tra il 2010 e il 2021. La corsa all’oro ha spinto il prezzo ai massimi storici: ha sfiorato i 2.900 dollari l’oncia, attestandosi nel quarto trimestre su una media di 2.663 dollari (la più alta di sempre). Solo nell’ultimo trimestre, l’aumento è del 35% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 

Dove finisce l’oro acquistato?

Secondo il World Gold Council, circa il 46% dell’oro serve per la produzione di gioielli, mentre il 22% è destinato a investimenti, tra lingotti, monete e strumenti finanziari legati all’oro. Le banche centrali ne detengono circa il 17% nelle loro riserve monetarie, mentre il restante 15% viene impiegato nell’industria tecnologica, in settori come l’elettronica e la medicina.

Più le banche centrali accumulano, più le compagnie minerarie estraggono. I costi restano fermi, i ricavi salgono. Finché il metallo resta un asset strategico per gli Stati, le miniere non si fermano. E con loro nemmeno la deforestazione, l’inquinamento da mercurio e le emissioni di CO₂.

L’inquinamento da mercurio e la distruzione dell’Amazzonia

L’estrazione dell’oro ha un’impronta ecologica enorme. Ogni anno genera oltre 100 milioni di tonnellate di CO₂, con emissioni per oncia d’oro comprese tra 129 e 2.754 kg di CO₂ equivalente, a seconda del mix energetico utilizzato. Paesi come Canada e Finlandia, grazie all’idroelettrico, hanno emissioni più contenute rispetto a nazioni come Sudafrica, Russia e Cina, dove domina il ricorso ai combustibili fossili. Il Sudafrica in particolare vede l’intensità di emissioni più alta (2.754 kg CO₂e per oncia), a causa della forte dipendenza dal carbone e dell’energia necessaria per il raffreddamento di miniere profonde più di due chilometri. 

Un grave problema ambientale è l’inquinamento da mercurio, impiegato nelle attività minerarie su piccola scala per separare l’oro dai sedimenti. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), l’estrazione artigianale è responsabile di oltre un terzo delle emissioni globali di mercurio. Questo metallo pesante altamente tossico, una volta rilasciato nell’ambiente, contamina suolo, aria e corsi d’acqua, con gravi conseguenze per la salute umana e gli ecosistemi.

In Amazzonia l’estrazione dell’oro sta distruggendo migliaia di ettari di foresta tropicale. In Brasile, nello stato del Pará, l’estrazione illegale è fuori controllo. I garimpeiros, minatori spesso legati a gruppi criminali, devastano il territorio degli indigeni Kayapó. I fiumi vengono contaminati dal mercurio, mentre intere porzioni di foresta vengono abbattute per fare spazio a nuove miniere. Dal 2000 la deforestazione nel territorio Kayapó è più che raddoppiata e quasi 3mila persone sono state avvelenate dai residui minerari. Pur essendo illegale questa pratica prosegue, favorita anche dalle politiche lasciate in eredità dell’ex presidente Bolsonaro.

L’oro illegale e la criminalità organizzata

L’estrazione dell’oro in America Latina non è solo una questione ambientale, ma anche una crisi umanitaria e di sicurezza. Le comunità locali, spesso indigene, subiscono violazioni sistematiche dei diritti umani: spostamenti forzati, inquinamento delle risorse idriche e aumento di malattie legate all’uso di mercurio e altre sostanze tossiche nell’estrazione illegale.

Secondo Interpol, i gruppi criminali organizzati hanno trasformato il mercato dell’oro in una fonte primaria di finanziamento per attività illecite come il traffico di esseri umani, il narcotraffico e il contrabbando di armi. La filiera dell’oro estratto illegalmente si intreccia con il riciclaggio di denaro e arriva fino ai mercati internazionali, alimentando un sistema opaco che rende difficile tracciare la provenienza del metallo. Colombia, Perù e Brasile sono tra i Paesi più coinvolti.