Cos’hanno in comune oro, nucleare e carbone?

Tre fondi di investimento possiedono quote in società che possiedono oro e in quelle che producono energia nucleare e carbone

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Sembra davvero che non ci siano limiti al monopolio globale. Da due mesi il prezzo dell’oro ha superato i 2.100 dollari l’oncia. Si tratta di una corsa determinata da varie ragioni, a cominciare dalle tensioni geopolitiche e dalla possibile debolezza del dollaro, in previsione di eventuali tagli dei tassi d’interesse e varie paure sapientemente alimentate in giro per il mondo.

Un mondo dominato dalle scommesse finanziarie

È naturale, in questo mondo dominato dalle scommesse finanziarie, che l’aumento del prezzo dell’oro faccia correre il prezzo delle azioni delle società che possiedono oro. Ma di chi sono queste società? Le prime due, per capacità “produttiva”, Barrick Gold e Newmont Mining, vedono la presenza dominante dei fondi Vanguard, BlackRock e State Street, che convivono con il colosso dell’oro Van Eck Associates e possiedono, insieme, circa il 20% dell’azionariato. Gli stessi fondi compaiono anche in Kinross Gold. In pratica un terzo della produzione mondiale di oro è controllato dalle “Big Three” insieme a Van Eck.

È chiaro che con questa forza i tre fondi possono determinare i prezzi su cui scommettono e vincere sempre. Naturalmente puntando sulla costante necessità di beni rifugio indotta, come ricordato, dalle paure, vere e costruite. 

Non solo oro, anche nucleare e carbone

Considerazioni non troppo dissimili scaturiscono dalla surreale Cop28 di Dubai dove emerge la volontà, chiara, di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Emirati e di altri 18 Paesi di triplicare la capacità di energia nucleare entro il 2050. Come nel caso dell’oro, una simile dichiarazione determina, subito, un effetto decisamente favorevole per le società che hanno a che fare con l’energia nucleare e che hanno già visto salire il valore dei loro titoli.

Le principali aziende in questione sono statunitensi: NextEra Energy Inc., Duke Energy Corporation, Exelon Corporation e Dominion Energy. Cosa hanno in comune queste quattro società? Un dato chiaro: i principali azionisti di tali realtà sono le “Big Three”, Vanguard, BlackRock e State Street. In NextEra, Vanguard ha il 9,6%, BlackRock il 7,5 e State Street il 5,4. Di Duke, Vanguard possiede il 9,1%, BlackRock il 7,6, State Street il 5,3. La partecipazione di Vanguard in Exelon è pari al 9,3%, quella di BlackRock è dell’8,9 e quella di State Street del 6,2. La quota azionaria di Vanguard in Dominion è del 9,1%, quella di BlackRock del 7 e quella di State Street del 5,6.

In estrema sintesi, i grandi del mondo lanciano di nuovo il nucleare e i “signori del mondo” sono pronti da tempo a trarne i benefici: o forse sono stati proprio questi signori a “convincere” la politica?

Prezzi del tutto slegati dalla realtà produttiva

Tra i tanti danni che la finanziarizzazione oligopolistica genera figura anche la spinta per alcuni Paesi a mantenere l’utilizzo su larga scala del carbone come fonte energetica. La Cina produce e consuma circa 4mila milioni di tonnellate di carbone e l’India ne produce e ne consuma circa 800 milioni di tonnellate. Dunque, due Paesi ad alto impatto ambientale utilizzano la fonte più dannosa per il clima. Si tratta però di una risorsa di cui hanno grande disponibilità e dunque non hanno bisogno di acquistarla come avverrebbe per altre forme di energia i cui prezzi sono sensibili a facilissime impennate proprio perché oggetto di costante speculazione finanziaria.

Peraltro, lo stesso carbone è stato oggetto tra il 2021 e il 2023 di una grande crescita dei prezzi, passando da 200 a 400 dollari la tonnellata per poi scendere nuovamente. Prezzi del tutto slegati dalla realtà produttiva anche perché, come ricordato, i grandi consumatori di carbone, compresi gli Stati Uniti, sono anche produttori. Dunque è evidente che il prezzo del carbone è totalmente speculativo e che la natura speculativa dei prezzi dell’energia spinge alcuni dei Paesi a grande impatto ambientale a conservare l’utilizzo del carbone.

Quando argineremo la speculazione sarà sempre troppo tardi

Quando riporteremo il prezzo dei beni al loro valore, determinato da domanda e offerta reali, senza passare per la speculazione, sarà sempre troppo tardi. Sembra sempre più facile capire infatti che la strategia del controllo finanziario di larga parte del Pianeta passa attraverso la capacità di tre giganti di disporre di un portafoglio infinito di partecipazioni azionarie e obbligazionarie in grado di dare la sensazione della fine del rischio: chi possiede tutto e decide i prezzi diventa nell’immaginario comune dei risparmiatori, grandi e piccoli, assai più solido e sicuro degli Stati.

Così finisce il “libero mercato” e la dimensione pubblica, politica, del potere sbiadisce di fronte alla sicurezza garantita dai “signori” del mondo. Una sicurezza tutta finanziaria che divora ogni altro valore.