Pollo, filiera insostenibile. Ecco chi sono i 10 big mondiali
Usa, Brasile e Cina guidano una filiera fatta di miliardi di pennuti stipati in allevamenti intensivi. Tra crisi sanitarie e abusi di antibiotici
Il pollo e le uova sono buoni e piacciono ai bambini. La carne di pollo è magra. Il pollo costa piuttosto poco rispetto ad altre carni. Ma a quale prezzo? E chi guida il mercato?
Tre superpotenze al comando
In parte sono i consumatori, naturalmente, con la loro domanda in costante crescita a influenzare l’offerta. Ma, soprattutto, a tirare i fili sono i giganti internazionali dell’allevamento avicolo intensivo. Compagnie che determinano politiche globali, pratiche d’allevamento e prezzi. E tra le prime 10 non c’è neanche una società europea.
A farla da padroni sono innanzitutto Brasile, Stati Uniti e Cina, un trio di vere superpotenze del settore. Solo considerando le società incluse in questa top ten pubblicata da Wattagnet (rivista online specializzata), il Brasile – con cui l’Italia ha in atto un blocco delle importazioni – conta 5,2 miliardi di capi macellati ogni anno. Gli USA 3,2 miliardi e la Cina 1,6 miliardi.
Numeri impressionanti che non devono stupire. Solo gli USA nel 2016 potevano infatti vantare una popolazione di polli da carne di oltre 8,7 miliardi di capi in oltre 230mila allevamenti. E i numeri sono impressionanti anche sul piano economico finanziario: le due multinazionali carioca, Jbs e Brf, chiudevano il 2017 con fatturati da 49,4 e 10,8 miliardi di dollari.
Anche l’Italia compare nella classifica globale. Prima con i 350 milioni di polli macellati del Gruppo Veronesi (Aia), che nel 2017 ha quasi raggiunto 3 miliardi di euro di fatturato (+6,2% sull’anno precedente) e un export in oltre 70 paesi. Poi con i 250 milioni di capi di Amadori. Mentre il terzo big italiano, Fileni, non vi rientra.
Allevamento intensivo
Carne a poco prezzo. Ma c’è un aspetto sottovalutato: l’enormità dei capannoni d’allevamento e la compresenza sotto lo stesso tetto di centinaia di migliaia di polli e galline ovaiole porta ad amplificare i rischi. Sanitari ed economici. Qualora qualcosa vada storto. Per non dire del benessere animale, oggigiorno tutelato dall’EFSA, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare.
Una catena di montaggio vera e propria esposta a limiti messi in evidenza dai momenti di crisi. Le numerose epidemie di influenza aviaria e scandalo delle uova al Fipronil su tutti. E il nostro Paese non fa differenza. Anzi…
In Italia nel 2016 sono stati macellati 525 milioni di polli (fonte Istat), cioè mille animali al minuto. Il 99,5% di questi sono cresciuti in allevamenti intensivi (fonte Sinab) a velocità “supersonica”: in una quarantina di giorni il pulcino arriva a pesare anche due chili e mezzo.
Rischi amplificati: strage aviaria
Il 2017 è stato quindi l’ennesimo anno funestato dall’ultima versione del virus dell’influenza aviaria, che ha costretto l’Europa ad abbattere oltre 10 milioni di animali col gas nei primi 11 mesi dell’anno. Una strage cui il nostro Paese, primo nella Ue, ha contribuito con almeno 2,7 milioni di esemplari, soprattutto dalle province di Milano, Brescia, Cremona, Mantova, Bergamo, Lodi, Sondrio Pavia, e poi Asti, Ferrara, Rovigo, Verona, Roma.
Un’ecatombe di pennuti che continua, visto che ancora a marzo 2018 si abbattevano 135mila capi nella bassa bergamasca.
Il fatto è che gli allevamenti intensivi concentrati in aree ridotte amplificano il danno una volta che il virus abbia superato le biosicurezze. «Le grandi industrie alimentari italiane hanno spinto per costruire i capannoni degli allevamenti dove si trovavano i loro impianti di macellazione, per esigenze logistiche», ammette Giorgio Apostoli, responsabile zootecnia di Coldiretti. «E questa non è stata una scelta felice, perché abbiamo delle zone in cui la presenza di avicoli è altissima».
Non solo. I focolai secondari – specie in Lombardia – si sono caratterizzati per una «diffusione “laterale” del virus (cioè da un allevamento a un altro, ndr) – spiega Andrea Maroni Ponti, veterinario del ministero della Sanità – dovuta all’altissima densità avicola, magari veicolata dai mezzi di trasporto, o persino attraverso i sistemi di ventilazione forzata tra aziende distanti poche decine di metri. Un tipo di problematica connessa anche alla velocità con cui si fanno gli abbattimenti e lo smaltimento delle carcasse».
Fipronil, per colpa di pochi…
Biosicurezze superate anche a proposito dello scandalo della contaminazione da fipronil, scoppiato a luglio 2017.
Avviato per colpa di pochi allevatori fraudolenti, segnatamente belgi e olandesi, ha però coinvolto ben otto Stati membri data l’interconnessione della filiera dei polli e delle uova: Paesi Bassi, Italia, Germania, Polonia, Ungheria, Francia, Slovenia e Grecia.
La sostanza tossica venne infatti aggiunta in modo non autorizzato e non dichiarato in un antiparassitario. Le contromisure a tutela della salute pubblica hanno decimato 670 allevamenti in Europa, togliendo dal mercato circa 20 milioni di capi non programmati, sul totale di circa 300 milioni di galline.
Un impatto anche economico non da poco che, associato a quello contemporaneo dell’aviaria, portò alla penuria di disponibilità di uova e ovoprodotti, colpendo sia i supermercati che le aziende di trasformazione. Anche perché la quotazione ufficiale media di un quintale di uova intere nell’Unione europea era arrivata a 193,03 euro (con un aumento del 52,8% in 12 mesi a novembre). Senza contare indennizzi pubblici, costi di analisi e profilassi e perdite di profitto.
Secondo il rapporto finale dei 5.439 campioni di uova e muscolo/grasso di pollo analizzati in Europa alla ricerca di fipronil e altre sostanze non pochi, 742, contenevano infatti quantità di residui superiori ai limiti legali.