Diegoli: “Abbraccio tra e-commerce e produttori rischio per il commercio equo”
L’avanzata del commercio elettronico è un boccone avvelenato per quello equo e solidale, almeno per come lo abbiamo conosciuto finora. Parola di Gianluca Diegoli, esperto ...
L’avanzata del commercio elettronico è un boccone avvelenato per quello equo e solidale, almeno per come lo abbiamo conosciuto finora. Parola di Gianluca Diegoli, esperto di marketing e strategie digitali, con un breve passato da direttore della comunicazione in Altromercato (*).
L’intervista segue il dibattito – a tratti piuttosto vivace – scaturito dalla scelta compiuta proprio dal consorzio Altromercato di stringere un accordo con Amazon. Da quest’anno, infatti, quella che è una tra le maggiori centrali d’importazione e distribuzione del commercio equo in Italia, vende direttamente i propri prodotti sulla controversa piattaforma di commercio online. Nonostante non poche reazioni negative, per le quali Altromercato ha ritenuto di spiegare il senso della nuova collaborazione con una lettera ai soci (tra cui molte Botteghe del mondo).
Diegoli: commercio elettronico “disruptive”
«Da una parte vedo un sistema che non è più, posto che lo sia mai stato, adeguato a come le persone comprano e vivono oggi, scelgono e consumano. Dall’altro è un sistema che rischia di annacquarsi e diventare solo un brand qualsiasi dei tanti eco… bio… green…
Quando tu vendi come tutti gli altri è facile che qualcuno ti confonda con un, per quanto rispettabile, NaturaSì oppure ViviVerde oppure Solidal, il marchio Coop… D’altra parte ci sono scelte che stanno in qualche modo anche penalizzando gli stessi produttori, per cui ho l’impressione che, se il sistema rimane chiuso arriverà qualcun altro più lean e più smart (snello e agile, ndt)».
Ovvero qualcuno che non abbia un legame così forte con l’elemento etico?
«Non tanto con l’elemento etico della produzione ma con l’elemento etico della distribuzione. Non solo per la scelta Amazon sì o no. O per quella grande distribuzione sì oppure no. Ma proprio come sistema delle centrali d’acquisto in sé.
Altromercato nasce in un mondo in cui c’era una opacità informativa elevatissima. Oggi questa cortina fumogena informativa è venuta a cadere. Sono gli stessi produttori che possono autopromuoversi online e affidare il proprio prodotto all’interno della galassia equosolidale, e quindi il modello stesso di centrale di acquisto, se non si rinnova, potrebbe non essere più quello ideale.
L’e-commerce non è solo affidare i propri prodotti ad Amazon, ma è anche vendere online comprandoli direttamente dal produttore».
Cioè, dopo aver lavorato tanto per far sì che i produttori seguano determinati standard, e dopo aver comunicato con fatica la sostenibilità della filiera in questi anni, le centrali di distribuzione rischiano che gli stessi produttori non abbiano più bisogno di passare attraverso di loro? Che vendano i propri prodotti direttamente sui marketplaces digitali?
«O con forme diverse. È una mia personale opinione e non è certo un processo che avviene in un giorno. Ma l’impressione è che se marchi come Altromercato rimangono attaccati solo al sistema tradizionale delle botteghe rischiano di non essere più rilevanti.
Fairtrade, che non è una centrale di acquisto ma è un marchio di certificazione, ha sempre collaborato con marchi commerciali o linee di marchi commerciali per certificare il loro rispetto di certi parametri dell’equosolidale. Non c’è un solo modo di fare equosolidale».
Botteghe antieconomiche?
«Il pericolo, sempre più evidente, è che il sistema delle botteghe non si sia sostenibile sul lungo periodo. È certamente un’importante presenza simbolica ma non riesce a sostenersi, innanzitutto economicamente.
Chiaramente chi lavora in bottega è spesso volontario di lunga data o è persona che crede in questo progetto e ha dato l’anima per la sua realizzazione. Ma, a livello commerciale, se si escludono alcune grandi cooperative, in Lombardia, in Veneto o in Trentino, le altre sono realtà che commercialmente sul territorio hanno un valore soprattutto simbolico, magari con un picco registrato nel periodo natalizio o per la vendita di bomboniere solidali. È più Altromercato che tiene in vita queste realtà che il contrario».
Questo è un tema un po’ esplosivo. Amazon e l’e-commerce, accusati di uccidere i negozi, minacciano quindi la sopravvivenza delle botteghe? E queste ultime costituirebbero addirittura un peso per lo sviluppo del commercio equo e solidale in Italia? Il ragionamento, al di là del marketing, metterebbe in discussione un sistema fatto di persone, posti di lavoro, territori presidiati, economia locale che si appoggia in parte a queste botteghe.
«Verissimo. C’è da dire che l’attività delle botteghe si è sempre basata moltissimo sul volontariato. Un apporto che oggi è molto difficile da mantenere in un’organizzazione del commercio spietata. Spietata perché i consumatori l’hanno resa tale. Poiché si aspettano un servizio con aperture regolari e orari adeguati, locali di vendita facili da raggiungere, non nascosti nelle parrocchie.
Anche per le stesse centrali d’acquisto è piuttosto complicato lavorare con botteghe che ordinano piccoli stock, magari solo di determinati prodotti. E i consumatori che vanno in bottega spesso non trovano tutti gli articoli distribuiti dalla centrale. Aspetti da considerare in una visione moderna del commercio».
Se però vediamo esperienze come quella di NaturaSì, che pur vende su Amazon, il negozio di prossimità è rimasto al centro del progetto.
«Vendere laddove il consumatore vuole acquistare è un po’ un mantra contemporaneo di tutte le aziende. Anche se, per la grande distribuzione in particolare, questo significa spesso consegnarsi nelle mani del nemico (ovvero i pure player del commercio online, ndr).
La collaborazione tra NaturaSì e Amazon Prime Now è sostanzialmente logistica. Si tratta di utilizzare Amazon come veicolo per portare i tuoi prodotti su una piattaforma che consegna in giornata, cosa che tu non saresti in grado di fare».
Il commercio equo e la fatica di cambiare
«Le botteghe, talvolta anche per l’età anagrafica di chi le anima (il problema del ricambio generazionale all’interno del movimento è stato sollevato altrove anche dai vertici del consorzio, ndr), sono spesso poco aperte all’innovazione, al cambiamento.
Questo è un elemento che risulta dannoso per tutto il movimento, poiché dà l’impressione, soprattutto al pubblico più giovane, di essere una realtà un po’ impolverata, ingessata. Non dico che la soluzione sia vendere su Amazon: questa è un arma tattica più che strategica. È però possibile che prima o poi le cooperative più grandi, ad esempio nelle grandi città, scelgano di vendere autonomamente online, oltre ad avere i loro negozi».
Le cooperative più grandi potrebbero quindi sganciarsi dalle centrali…
«Che la vendita online danneggi poi le botteghe è tutto da verificare. Però il gioco del commercio elettronico contro le botteghe si è sviluppato da subito in questi termini, con la parte online e quella delle vendite in bottega che ostilmente si ignorano. Ma oggi ognuno acquista secondo come gli torna più comodo in quel momento, e si potevano perciò creare sinergie tra questi due canali. E per farlo è necessaria la collaborazione.
Certo la bottega rischia comunque di estinguersi. Ma il mondo delle botteghe è molto frammentato e diversificato. Se pensiamo a una cooperativa come Chico Mendes, a Milano, si vede una grande organizzazione, con i suoi negozi e i dipendenti. Altrove ci si fonda sulla disponibilità del volontariato dei soci e non c’è strategia commerciale, non c’è promozione. Alcuni sono rimasti a come funzionava il mondo della parrocchia».
AUDIO 3 – Gianluca Diegoli su Altromercato e Amazon
COMMERCIO EQUO TRA ETICA E LAVORO
È possibile pensare a una piattaforma a marchio unico per il commercio equo e solidale? Con i suoi prodotti e che rispetti i principi del movimento?
«Temo che parte dei problemi che si sono manifestati adesso con la scelta di Amazon si riprodurrebbero in modo simile. Io credo che in questo momento il commercio equo abbia un grande problema di riconoscibilità e di conoscenza verso coloro i quali hanno meno di 40 anni, per fare un esempio.
Questa è la mia sensazione, sebbene non sia provata da indagini di mercato. Quindi il problema non è fare tanto il portale in cui mettere tutti gli operatori ma è chi ci va su questo portale. Pure quando Altromercato aprì il proprio e-commerce, ci furono notevoli proteste da parte delle botteghe. Quel sito poteva funzionare già come hub per diverse esperienze».
(*) Sugli argomenti sollevati da Diegoli abbiamo sollecitato direttamente Altromercato a esprimersi, che tuttavia per il momento ha preferito non intervenire.