Obesità, per l’Italia un costo sanitario tra 6 e 16 miliardi
In Occidente, l'eccesso di peso drena tra il 4 e il 10% della spesa sanitaria. L'obesità è in crescita ed è l'altra faccia di fame e cibo sprecato
Fa male alla salute, ovviamente. Ma non va sottovalutato un altro fattore, tutt’altro che secondario: l’obesità è un nemico anche per le casse pubbliche e i portafogli degli Italiani. Una tassa occulta da non meno di 6 miliardi di euro l’anno.
Il dato deriva da un semplice incrocio tra i risultati che numerose indagini accademiche hanno svolto, negli ultimi anni, sui costi sanitari derivanti dalle patologie connesse con l’obesità e l’attuale spesa sanitaria italiana.
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L’obesità “pesa” tra il 4 e il 10% della spesa sanitaria nazionale
Bastano un paio di calcoli per scoprire un aspetto dell’obesità poco noto, almeno fra i non addetti ai lavori. I costi medici diretti, nei Paesi occidentali, oscillano generalmente tra il 4 e il 10% delle spese sanitarie nazionali. A ricordarlo, ci aveva pensato, già nel 2012, uno studio realizzato dalla Fondazione Policlinico Tor Vergata (I costi dell’obesità in Italia).
Nel rapporto si ricordavano vari studi effettuati su alcune economie avanzate. Un’indagine relativa al Regno Unito calcolava ad esempio costi pari al 5% della spesa totale del National Health Service (circa 3,23 miliardi di sterline). Analoghi risultati emergevano da un altro studio sull’Olanda (4% dei costi del sistema sanitario nazionale). Addirittura, negli Stati Uniti, le percentuali (relative al 2008) salivano fino al 9-10% (si aggiravano sul 5-7% appena un decennio prima).
Applicando quelle percentuali al caso italiano, il calcolo è presto fatto. Nel nostro Paese, la spesa sanitaria incide per l’8,9% del Pil: circa 165 miliardi. Il 4-10% corrisponde quindi a una cifra compresa tra 6,5 e 16 miliardi.
L’indagine della Fondazione Università Tor Vergata ricordava tra l’altro che «le analisi suggeriscono che, a livello individuale, le persone obese generano un differenziale in termini di costi medici diretti che varia da paese a paese, ma non èmai inferiore al 25%». E tra l’altro, aumenta con l’incremento del peso corporeo.
«Gli individui appartenenti alla classe di BMI (l’indice di massa corporea, ndr) compresa tra 35 e 40 generano un spesa superiore del 50% della spesa delle persone normopeso, mentre gli ultra obesi (BMI maggiore di 40) raddoppiano la spesa (un incremento del 100%)».
Numeri impressionanti che è opportuno ricordare, soprattutto in occasione della Giornata mondiale dell’obesità, perché, come ricordano numerose istituzioni globali e nazionali, determina gravi danni alla salute con una conseguente riduzione dell’aspettativa di vita.
Nel 2030 obeso il 50% degli americani e quasi 8 milioni di italiani
Nonostante tutte le campagne di sensibilizzazione però il fenomeno non accenna a diminuire. Anzi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’obesità mondiale – che pure è ampiamente prevenibile – risulta quasi triplicata dal 1975. Un rapporto del U.S. Centers for Disease Control and Prevention, appena pubblicato, segnala che gli americani continuano ad ingrassare, con tassi di obesità superiori al 30% in 25 stati e oltre il 35% in ben sette. E alcuni dati di scenario (relativi al 2016) non paiono rassicuranti per il futuro della salute dell’umanità:
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Sono in sovrappeso oltre 1,9 miliardi di adulti (il 39%), dai 18 anni in su. Di questi, oltre 650 milioni sono obesi.
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41 milioni di bambini sotto i 5 anni sono in sovrappeso o obesi.
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Oltre 340 milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono in sovrappeso o obesi.
La tendenza è quindi decisamente negativa. Lo confermano anche le proiezioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), che mostrano un costante aumento dei tassi di obesità fino almeno al 2030.
Osservati speciali Stati Uniti, Messico e in Regno unito, dove rispettivamente si potrebbe trovare a vivere questa condizione il 47%, 39% e 35% della popolazione già nel 2030. Una stima che preoccupa senz’altro sia per la salute delle persone che per i costi del sistema sanitario conseguenti.
Obesity continues to place a significant burden on the health system. The NHS spends £6.1 billion each year on treating overweight and diabetes related ill health. In England, just over a quarter of adults (26.2%) were obese in 2016. Find out more: https://t.co/5zN2kVE0Ls #EASD18 pic.twitter.com/xiQP2Aq78T
— UK Health Security Agency (@UKHSA) October 4, 2018
Del fenomeno non sono immuni, anche se in minor grado, anche Stati come Italia e Corea, con tassi di obesità che potrebbero raggiungere il 13% e il 9% entro lo stesso periodo. Nel nostro Paese quindi, gli obesi potrebbero essere quasi 8 milioni. Previsioni tutt’altro che irrealistiche: già oggi superano il 13% di obesi le tre principali regioni del Sud (Campania, Sicilia e Calabria). E un italiano su tre è attualmente in sovrappeso.
Un’epidemia invisibile in corso
Dati che dovrebbero allarmare: l’obesità è infatti connessa innanzitutto alle cosiddette NCD, ovvero le malattie non trasmissibili (mappa interattiva). Patologie cardiache, l’ictus, il cancro, le malattie respiratorie croniche e il diabete, segnalate dall’Oms come la principale causa di mortalità nel mondo, anche se l’80% di queste malattie “premature” può essere prevenuto.
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Si tratta di una vera epidemia invisibile in corso. Una strage evitabile che nel 2015 ha provocato 40 milioni di morti sui 56 milioni globali. 40 milioni di decessi il 48% dei quali, avvenuti per NCD in Paesi a reddito medio-basso, ha riguardato persone che non avevano ancora 70 anni d’età.
Non solo. Perché l’Oms sostiene che le NCD (che oltre all’obesità includono come fattori di rischio il fumo, l’abuso di alcool, l’attività fisica insufficiente) siano causa poco considerata della povertà e siano un ostacolo allo sviluppo economico di molti Paesi. Indicando invece nell’azione globale e integrata a livello nazionale l’arma di contrasto più efficace alla loro diffusione.
Paradosso obesità: fame e spreco di cibo crescono
L’avanzata dell’obesità, d’altra parte, pare un dramma quanto meno paradossale se si pensa ai recenti dati che riguardano il ritorno all’aumento della fame nel mondo, e quelli impressionanti dello spreco alimentare, come ricordato all’ultimo Salone del Gusto di Slow Food.
#Fame e #obesità sono due facce della stessa medaglia: la malnutrizione. Il biologo Glenn Massakazu Makuta di @slowfoodbrasil porta a #TerraMadre #SalonedelGusto l'esperienza educativa di @AliancaAlimenta #primogiornodiscuola #TuttiaScuola #foodforchange https://t.co/QoFl7hQkMb
— Slow Food Italia (@SlowFoodItaly) September 17, 2018
È infatti di settembre 2018 fa la cattiva notizia diffusa dalle principali agenzie delle Nazioni Unite attraverso il rapporto annuale dell’Unicef The state of food security and nutrition in the world 2018 . Nonostante il contrasto alla fame e alla malnutrizione sia parte degli obiettivi di sviluppo globale delle Nazioni unite il numero di persone che soffrono cronicamente la fame è aumentato a 821 milioni nel 2017 (da 804 milioni del 2016). Le recenti tendenze al ribasso si sono perciò invertite, con Sud America e Africa quali aree che hanno mostrato il peggiore aumento.
Agricoltura sostenibile
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Complici i cambiamenti climatici, certo, ma soprattutto le distorsioni – anche queste evitabili – di un sistema che produce e distribuisce male le risorse alimentari disponibili. Come dimostra anche un recente studio del Politecnico di Milano sullo spreco di cibo e i vantaggi economici di una sua riduzione. A cominciare dall’Italia, che ogni anno butta via 5,1 milioni di tonnellate di alimenti, cioè 12,6 miliardi di euro.
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The Boston Consulting Group, nel report Tackling the 1,6 Billion Ton Food Loss and Waste Crisis, denuncia Ogni anno nel mondo si buttano via infatti circa 1,6 miliardi di tonnellate di cibo, per un valore di 1.200 miliardi di dollari.
Un delitto imperdonabile che vale un terzo della produzione globale. E che tende ad aumentare: «se non ci saranno interventi decisi, tra 12 anni si butteranno 2,1 miliardi di tonnellate di cibo, per un valore di 1,5 bilioni di dollari».