Avvocati e medici, pensioni d’oro bruciando carbone e petrolio
Un'indagine di Re:Common e Valori rivela: la Cassa Forense ha investito mezzo miliardo sulle fonti energetiche più inquinanti. E molte altre rifiutano la trasparenza
Si chiamano Enpam, Cassa Forense, Inarcassa, Enasarco e poi INPGI, CIPAG, Enpaia, Enpap, Eppi. La lista di sigle è ancora lunga e comprende le 21 casse di previdenza pubbliche italiane che gestiscono i versamenti obbligatori per la pensione (il cosiddetto “primo pilastro”) per una serie di categorie professionali come medici, avvocati, notai, ingegneri, architetti, giornalisti, psicologi, periti.
In tutto investono patrimoni per quasi 60 miliardi di euro: un boccone prelibato per banche, società di gestione, finanzieri e professionisti che, in passato, sono riusciti a piazzare alle casse i loro servizi di gestione e consulenza e, non di rado, anche una serie di titoli tossici o quote di fondi sospetti, con la connivenza di presidenti e funzionari degli stessi istituti di previdenza.
In realtà, nonostante gli scandali, la trasparenza delle Casse pare essere migliorata solo marginalmente e, ancora oggi, si sa pochissimo sui titoli nei quali i loro patrimoni sono investiti. E quando si riesce a ottenere qualche informazione in più dai bilanci, l’esposizione alle fonti fossili appare preoccupante. Lo dimostra la ricerca di Re:Common e Valori, che ha messo sotto la lente i primi cinque enti previdenziali, che coprono da soli quasi l’80% del patrimonio investito da tutte le casse:
- Enpam (medici),
- Cassa Forense (avvocati),
- Inarcassa (ingegneri e architetti),
- Enasarco (agenti di commercio) e
- CNPADC (dottori commercialisti).
Enpam, opacità al primo posto
L’analisi ha avuto lo scopo di identificare tra gli investimenti i titoli di imprese che abbiano come attività prevalente (più del 30% del fatturato o del mix di produzione energetica) l’estrazione e commercializzazione di petrolio, gas e carbone e la produzione di energia dalle stesse fonti. Ma si è subito scontrata contro barriere insormontabili.
Enpam (medici), la più grande tra le casse di previdenza italiane (17,45 miliardi di euro investiti a fine 2017), fornisce solo dettagli molto limitati sui fondi o sui singoli titoli nei quali investe e quindi non è stato possibile stimare l’eventuale esposizione delle cassa ai combustibili fossili. Si è riusciti solo a ricostruire, in modo indiretto, un investimento per 100 milioni di euro (0,57% del totale) nel colosso dell’elettricità Enel che produce energia da fonti fossile per il 57% del mix totale (di cui 28% dal carbone e 11% da olio e turbogas).
Considerazioni analoghe si possono fare per buona parte delle altre casse analizzate. Inarcassa, che gestisce i contributi pensionistici di ingegneri e architetti, non pubblica alcun dettaglio sui titoli nei quali investe, mentre per Enasarco (agenti e rappresentanti di commercio), è stato possibile identificare, anche se in modo indiretto, investimenti nelle società petrolifera anglo-olandese Shell e in quella messicana Pemex.
La CNPADC (Cassa Dottori Commercialisti, 5,29 miliardi di euro investiti), pubblica invece una serie di dettagli in più e si è quindi riusciti a ricostruire investimenti indiretti (tramite fondi comuni) nelle società petrolifere Total, Shell e Repsol, anche se per importi marginali rispetto al totale.
Petrolio e carbone nelle pensioni degli avvocati
Cassa Forense, che gestisce le pensioni degli avvocati (con attività finanziarie per 9,26 miliardi di euro), è risultata la più trasparente, anche perché gestisce buona parte degli investimenti in modo diretto, senza fare ricorso a gestioni patrimoniali esterne.
La prima cosa che salta agli occhi è un investimento diretto per circa 234 milioni di euro (2,52% del totale) in azioni di Eni (petrolio e gas). A seguire, 231,84 milioni di euro sono investiti in Enel, mentre quote minori sono destinate a due primari sviluppatori di centrali a carbone (“Top Coal Plant Developers“, come li definisce la ONG Urgewald nella sua banca dati: le tedesche RWE e Uniper.
Tra gli investimenti indiretti (tramite fondi comuni) si segnalano, infine, il gruppo minerario anglo-australiano Rio Tinto (carbone) e il colosso petrolifero cinese CNOOC, attivo anche nell’estrazione di olio dalle sabbie bituminose, una delle fonti fossili più inquinanti in assoluto. In tutto, Cassa Forense risulta esposta alle fonti fossili almeno per 542 milioni di euro, pari al 6% del suopatrimonio totale. Un record tra tutti gli enti e i fondi oggetto dell’analisi di Re:Common e Valori.