In Brasile è l’ora della diplomazia del servilismo
La presidenza Bolsonaro sta perseguendo un obiettivo: destrutturare le alleanze con gli altri Stati latinoamericani e il sostegno al multipolarismo per soddisfare gli appetiti USA
È seducente vedere nelle manifestazioni di certi attori politici null’altro che un esotismo privo di senso, un insieme di bizzarrie di qualcuno che ha mal digerito teorie relative all’ascesa e caduta delle civiltà e che unisce a questa caratteristica una tendenza ostinata all’adulazione e al servilismo. Non si tratta solo di ignoranza storica, di bizzarria o esotismo.
Certo questi elementi sono presenti nella diplomazia dell’attuale governo brasiliano e nelle dichiarazioni discordanti e incoerenti di ministri, guru e familiari. A molte di esse seguono rapidamente smentite o reinterpretazioni che dovrebbero mitigare un po’ il loro più pernicioso significato. È stato questo il caso al riguardo dell’uso della forza per il “cambiamento di regime” in Venezuela.
I cambi di posizione per soddisfare Washington
Quando si guardano le azioni e i fatti, subito tuttavia ci si rende conto che non è opportuna alcuna lettura innocente dell’infelice cammino che la nostra politica estera ha preso. Al di là dell’allineamento automatico, o come parti di esso, gli atteggiamenti che il Brasile viene assumendo, oltre che irrazionali e incompatibili con la nostra tradizione diplomatica, hanno cercato in modo sistematico di contribuire a un progetto in assonanza con lo “Stato profondo” di Washington rispetto all’ordine internazionale.
Cambiamento di posizione sul conflitto Israele-Palestina, insulti alla Cina, minacce al Venezuela e distruzione dell’Unasul/Unione degli stati sudamericani, sostituita da un vago progetto di forum conservatore, il Prosul/Foro per il Progresso dell’ America del Sud, sono tessere di una strategia per rimodellare la struttura di potere che si andava formando a livello mondiale.
Lo stop a una diplomazia multipolare
Passata la Guerra Fredda, dopo un periodo relativamente breve, in cui l’egemonia degli Stati Uniti non era messa in discussione, fra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, si andava configurando un mondo multipolare, senza una potenza chiaramente dominante. L’Europa, soprattutto prima della Brexit, sembrava un concorrente economico di prima grandezza rispetto agli USA. La Russia si rialzava dopo il vacillante periodo di Boris Yeltsin. Paesi in sviluppo come India, Brasile, Sudafrica elaboravano nuove alleanze. Nella nostra regione si succedevano disegni di organizzazione politica senza tutela esterna come la Unasul e la Celac/Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi.
A tutto ciò si sommava la spettacolare ascesa economica della Cina, che ha profondamente modificato la scacchiera globale. Più recentemente Pechino ha cominciato a dare forma politica alla sua crescente influenza e lo ha fatto in modo prudente, cercando con metodo pragmatico di difendere i propri interessi, senza confronti, evitando di imporre il proprio modello politico ed economico ( e ancor meno la sua ideologia) ai paesi con i quali sviluppa condivisioni. Esempio di ciò è il grande avvicinamento da poco sottoscritto con la visita di Xi Jinping a Roma, fra Cina e Italia, paese membro del G-7 governato da una alleanza populista conservatrice.
Il Brasile aveva capito che gli sarebbe stato vantaggioso un ordine mondiale che non si trovasse sotto il comando di un’ unica potenza. In tale contesto, ha contribuito con iniziative come Ibas, Aspa, Unasul e Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) per rafforzare la multipolarità. Questo ha permesso al nostro paese di muoversi con disinvoltura in fori come il G-8 ampliato e, in seguito, il G-20, e anche nei fori economici tradizionali.
“Leading from behind”
Alcuni presidenti nordamericani hanno capito l’importanza di queste trasformazioni e hanno addirittura visto vantaggi in una direzione condivisa. Il presidente Barack Obama ha coniato l’espressione “leading from behind”. E molti analisti nord americani hanno difeso una struttura di potere diversificata, in cui gli Stati Uniti continuerebbero ad essere “socio di maggioranza”, ma non egemonico.
Strateghi dei settori militari e dei servizi di sicurezza, come anche parte importante dei detentori del capitale finanziario, non hanno apprezzato questa perdita relativa di potere. È stata lanciata una controffensiva, cercando di restaurare l’egemonia di Washington; nello stesso tempo con l’arrivo di Donald Trump, si è voluto svalorizzare il sistema normativo internazionale, visto come un intralcio alla ricerca aggressiva di interessi nazionali specifici e dubbi.
Bolsonaro fa felice Monroe
Trump ha trovato nell’attuale presidente brasiliano, Bolsonaro, un socio per questa avventura. Il Brasile, che la nostra élite voglia o non voglia ammetterlo, per le sue dimensioni e per le caratteristiche del suo popolo, ha peso nella regione e nel mondo. La decostruzione dell’Unasul, l’indebolimento dell’integrazione dell’America del Sud, è un passo nel riattrezzare il dominio nordamericano. Il controllo delle risorse naturali (specialmente energetiche) del continente non ha mai smesso di essere un obiettivo delle superpotenza. Non per caso si torna a suonare la fanfara della vecchia dottrina Monroe.
Una America del Sud e una America Latina subordinate al controllo di Washington sono un aspetto essenziale della ricostruzione di un ordine mondiale più sottomesso ad “America First” .
Quale sarà il prossimo bersaglio di questa destrutturazione che ci riguarda più da vicino? A mio parere, è chiaro che i fori e le alleanze che accentuano la multipolarità non sono compatibili con una visione del mondo incentrata sull’impalcatura aggressiva e non cooperativa del proprio interesse. L’attacco ai Brics, il cui prossimo incontro è fissato per novembre in Brasile, in verità è cominciato. E anzi è in questo contesto che la concessione dello statuto speciale di alleato extra-Nato al Brasile deve essere visto. Ma fino a novembre molta acqua deve passare sotto i ponti. Si vedrà.
* Celso Amorim, diplomatico di carriera, ambasciatore, è stato ministro degli Esteri nel governo di Itamar Franco nel 1993-1994 e ministro degli esteri e della difesa nei governi Lula e Dilma. Fonte: CartaCapital. Traduzione: Teresa Isenburg.