Dalla fabbrica dei veleni un danno infinito alle generazioni future

Ha inquinato terreni e falde acquifere della valle Bormida. Ma anche la Campania per i traffici illeciti delle ecomafie. E una vera bonifica non è possibile

L'Acna di Cengio (foto eni.com)

La generazione “Greta Thunberg” con ogni probabilità non ha mai sentito parlare dell’Azienda Coloranti Nazionali e Affini (ACNA) di Cengio, in provincia di Savona. Eppure le conseguenze delle azioni di tale azienda (purtroppo) riguarderanno questa e molte generazioni future.

Il peso dell’inquinamento di uno dei più antichi stabilimenti chimici italiani, infatti, graverà ancora per molto tempo, sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della Val Bormida, tra Liguria e Piemonte. Come hanno confermato i dati epidemiologici dell’ultimo rapporto Sentieri curato dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2019. Dati come l’eccesso di ospedalizzazioni già nel primo anno di vita, in età pediatrica e fino ai 19 anni, per linfomi non Hodgkin e «patologie associabili all’esposizione a impianti chimici e discariche».

La fabbrica di Cengio (Savona) che inquinava fino a Giugliano (Napoli)

Nata come industria bellica nel 1882, divenuta negli anni ‘60 di proprietà Montedison, poi Enimont nel 1988 ed Enichem dal 1991, l’azienda è stata chiusa nel 1999. Attualmente è sotto proprietà e gestione, per le procedure di bonifica e messa in sicurezza, di Eni Rewind (ex Syndal). Eppure già dall’87 il Consiglio dei ministri aveva dichiarato la valle Bormida «zona ad alto rischio di crisi ambientale».

La fabbrica dei veleni non ha avvelenato solo i 77 ettari a ridosso del fiume Bormida tra i comuni di Cengio e Saliceto.

Come le perizie della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli hanno rivelato nel 2010, i fanghi tossici, scarti di lavorazione, affidati ai traffici illeciti delle ecomafie sono giunti, già negli anni ‘80, fino alla Resit di Giugliano in Campania.

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La bonifica data per conclusa nel 2010, che mai si concluderà

Cengio con Saliceto è ancora oggi, è uno dei 58 siti di interesse nazionale e regionali per le bonifiche. Quella dell’Acna era stata annunciata come terminata nel 2010, dall’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. In realtà non si è ancora conclusa. Come ribadisce Walter Ganapini, membro onorario de Comitato Scientifico dell’ Agenzia Europea per l’Ambiente, la situazione è tale che non si potrà mai parlare di bonifica vera e propria. Ma solo di messa in sicurezza permanente.

 

Fonte: V Rapporto Sentieri, Epidemiologia & Prevenzione, 2019

I composti chimici e gli scarti dei processi industriali sono, infatti, penetrati a fondo nei terreni e nelle falde acquifere.

Ammine, idrocarburi policiclici aromatici, cloruri, PCB e diossine sono presenti in quantità tali da renderne impossibile la rimozione. Rimanendo così stoccati nel sito, suddiviso in tre macro aree, a partire dalla zona A, quella definita «a elevato rischio», occupata dall’insediamento industriale, la discarica di Pian Rocchetta, a ridosso l’alveo del Fiume Bormida, all’altezza di Millesimo, dove c’era la presa d’acqua dello stabilimento.

Una discarica senza valutazione di impatto ambientale

Mentre scriviamo, risulta ancora aperta presso la Commissione Europea, una procedura di infrazione, la 2009-4426  in fase di precontenzioso, come ricorda una recente sentenza del Consiglio di Stato. Proprio il principale lotto denominato A1, dove sono stoccati 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti tossico-nocivi, sarebbe stato costruito senza la preventiva Valutazione di Impatto ambientale necessaria, in violazione della direttiva europea sulle discariche.

E, come emerso dall’ultima Conferenza dei Servizi dello scorso 16 ottobre e come attestato dal parere tecnico sull’analisi di Rischio sanitario-ambientale fornito a Syndial (da novembre 2019 diventata ENI Rewind) da Ispra e Arpal, c’è un’altra area di tre ettari, detta «Area Merlo» che deve essere ulteriormente indagata, messa in sicurezza, bonificata.

L’area del SIN di Cengio – Saliceto, fonte Google Maps

Un sito pericoloso, a rischio alluvionale

«Quello che viene propagandato come «bonifica» è in realtà un colossale fallimento, pieno di incognite e costi che Syndial/Eni dovrà sostenere e presidiare in eterno. Più che una bonifica, sembra essere una malriuscita e incompleta messa in sicurezza». Così ha commentato Pier Giorgio Giacchino, sindaco di Camerana, comune della Val Bormida, presidente dell’Associazione degli ex operai della fabbrica, autore di un’accurata relazione sullo stato del SIN. Documento fatto proprio da 23 Comuni della Val Bormida, dalle province di Cuneo e Asti.  Trasmesso al ministero dell’Ambiente, alla regione Piemonte e ad Arpa Piemonte.

L’area di Cengio, costruita a ridosso del fiume Bormida rientra, secondo il Piano di Assetto Idrogeologico, in tempi di cambiamento climatico, in area alluvionale. Già nel 2016, come riporta la stessa Arpa Piemonte «l’alluvione ha determinato persino il danneggiamento di alcuni piezometri perimetrali di controllo e le comunità rivierasche del fiume nel tratto cuneese, tra i Comuni di Saliceto e di Cortemilia, si sono preoccupate per una possibile eventuale rimessa in circolazione di inquinanti ad opera dell’alluvione».

Cengio, mappa di rischio alluvionale nell’area SIN, 2020

Nessun risarcimento per il danno ambientale e sanitario

Anche per questo, insieme ai sindaci, agli ex-operai, resta intensa l’attività dei cittadini che chiedono una Val Bormida pulita. Una popolazione che non vuole dimenticare la lotta contro la fabbrica della morte. Dagli operai morti per tumori o nelle esplosioni all’interno dello stabilimento, come avvenne nel 1979, fino alla nube tossica di anidride solforosa del 1979, che si diffuse in tutta la valle. Episodio che giunse a scuotere l’opinione pubblica nazionale.

Intanto, oltre alle memorie presenti nel web,  prosegue l’attività di monitoraggio civico sul sito da parte dell’Associazione Rinascita della Val Bormida. In un documentario, la storia, le testimonianze sul passato e sui pericoli ambientali e sanitari, dovuti alla convivenza con il sito contaminato.

Prima Pagina de La Stampa, 24 luglio 1998

Nessuna condanna, a oggi. Nessun risarcimento, per danno ambientale, è stato corrisposto, al territorio. Come ricorda il sindaco Giacchino, occorre «condividere la soluzione di un’intesa transattiva purché sia onorevole, oggettiva. Finalmente rispettosa dei Comuni nei quali si è prodotta la massima parte dei danni all’ambiente, allo sviluppo, all’occupazione, alla condizione socioeconomica, alla salute».

Bormida, il documentario di Alberto Momo