La Cina riapre subito i Wet market: una minaccia per la salute mondiale
Dietro al commercio di animali selvatici diffuso in Cina un giro d'affari plurimiliardario. Ma anche un grave pericolo sanitario. Come il caso SARS-Cov-2 sta dimostrando
In queste settimane, mentre una nazione dopo l’altra viene travolta dalla pandemia, senza peraltro riuscire a reagire tempestivamente all’espandersi dei contagi, tutti noi siamo sottoposti a un flusso sterminato di informazioni da parte di TV, radio e giornali, che, al pari dei siti internet, hanno potenziato e focalizzato l’informazione sul virus comparso pochi mesi fa nella città cinese di Wuhan.
La maggior parte degli articoli sta affrontando gli effetti sanitari, sociali ed economici dell’epidemia, ma solo alcuni cercano di indagare le cause profonde alla radice del problema. Se da una parte le epidemie affliggono l’uomo sin dalla “transizione neolitica” e hanno segnato il corso della nostra storia, negli ultimi decenni abbiamo assistito a una serie di epidemie che trovano la loro origine nel nostro complicato e pervasivo rapporto con l’ambiente naturale.
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6,3 milioni di persone lavorano nel settore degli animali selvatici
Come nel 2002, ai tempi della SARS, ad essere sotto accusa è il consumo di animali selvatici per l’alimentazione e la medicina tradizionale cinese, sostenuto da numerosi allevamenti che coinvolgono 6,3 milioni di addetti e un volume di affari di oltre 18 miliardi di dollari, a cui va aggiunto il business del prelievo in natura di fauna selvatica. Quali legami esistono tra queste attività e i virus?
Le indagini svolte finora sul genoma del virus SARS-CoV-2 hanno permesso di raccogliere forti evidenze sul ruolo del mercato di Wuhan nella sua diffusione e probabilmente anche come luogo di origine dell’epidemia. È stata infatti riscontrata una similitudine del 96,2% tra il SARS-CoV-2 e il coronavirus in due specie di pipistrelli e una leggermente inferiore (91,02%) con quello isolato nel pangolino malese (Manis javanica). Inoltre, il 55-66% dei primi contagi umani erano legati al mercato di Wuhan, dove sono stati anche riscontrati campioni positivi al virus nella zona occidentale del grande mercato, dove vengono venduti animali vivi.
Oltre 500 nuovi coronavirus scovati sui pipistrelli
Studi sui pipistrelli in Cina hanno permesso di accertare la presenza di oltre 500 nuovi coronavirus, di cui circa 50 molto simili a quello della SARS, e i ricercatori sono convinti di aver solo iniziato ad esplorare l’enorme serbatoio di virus ospitati da questi mammiferi. Dalle epidemie del recente passato, si è visto che questi virus infettano un ospite “intermedio” prima di arrivare all’uomo, la civetta delle palme mascherata (Paguma larvata) per la SARS e il dromedario (Camelus dromedarius) per la MERS.
Ad oggi non è ancora possibile stabilire con certezza l’ospite intermedio del nuovo coronavirus, ma il pangolino resta uno dei candidati principali, trattandosi di una specie ampiamente commerciata sia per la carne, sia per le scaglie usate nella medicina tradizionale cinese e diffuso nei mercati tradizionali del Sud-est asiatico come quello di Wuhan, insieme anche a cani, gatti, pipistrelli e molte altre specie selvatiche.
Un commercio molto diffuso nelle aree rurali
Sebbene il processo di trasformazione sociale in Cina stia portando all’apertura di supermercati e ad una progressiva chiusura dei mercati tradizionali, ciò avviene essenzialmente nelle grandi città, mentre i cosiddetti “wet market” restano diffusi nelle città di piccola e media dimensione e soprattutto nelle aree rurali.
A gennaio scorso, dopo l’emergere dell’epidemia, il mercato di Wuhan è stato chiuso e ripristinate le misure restrittive imposte, e poi revocate, ai tempi della SARS quasi 20 anni prima. La decisione è stata resa permanente dal governo cinese il 5 marzo scorso, ma questa iniziativa non ha ancora determinato una modifica alla legge quadro cinese sul commercio di specie selvatiche e nemmeno è stato reso pubblico l’iter e la tempistica per modificare le numerose leggi regionali che regolano e controllano l’alimentazione, gli allevamenti, le riproduzioni in cattività, la medicina cinese, il commercio legale e illegale.
Il Daily Mail rivela: wet market riaperti
Anche la legge quadro cinese sulla protezione delle specie selvatiche, introdotta nel 1988 e più volte modificata, è inadeguata: la lista delle specie non viene aggiornata da oltre 30 anni, lascia fuori un terzo delle specie, tra cui i pipistrelli e lo stesso concetto di specie selvatica è molto ambiguo; infatti alcune specie compaiono tra le specie protette allo stato “wild” e allo stesso tempo tra quelle utilizzabili per la medicina tradizionale in cattività, come ad esempio il pangolino, la tigre, il leopardo, l’orso tibetano e le tartarughe.
Desta preoccupazione peraltro la notizia comparsa sul Daily Mail e rilanciata da molti mezzi di informazione anche in Italia, della riapertura dei “wet market” in cui gli animali vivi vengono uccisi e macellati al momento della vendita con intuibili precarie condizioni igenico-sanitarie e la possibilità che agenti infettivi si possano propagare.
World Health Organisation supporting the reopening of China's wet markets. What on earth are they playing at?https://t.co/Q5jKRXgs0K
— Michael Heaver (@Michael_Heaver) April 14, 2020
Mangiare specie selvatiche: la nuova moda dei ricchi
Senza contare che la messa al bando non appare essere efficace a causa della forte richiesta di specie selvatiche per la recente moda “yewei” delle nuove classi agiate, un vero e proprio “gusto del selvaggio” che alimenta un diffuso commercio illegale.
Il giro d’affari del commercio illegale di fauna, secondo un recente report del Sole 24 ore su dati del 2017, vale oltre 23 miliardi di dollari, a cui va aggiunta la pesca illegale (altri 36 miliardi), il disboscamento illegale (157 miliardi) e ovviamente il volume immenso del commercio di specie protette regolamentato dalla Convenzione internazionale CITES, stimato per la sola Unione europea, in oltre 100 miliardi di euro all’anno.
Il salto di specie dei #virus è in rapido aumento negli ultimi anni a causa del traffico e consumo di animali selvatici, della deforestazione, dell’invasione delle attività umane.#Covid_19
➡La puntata integrale a breve su https://t.co/xQp7sblNfQ@sabri_giannini #Rai3 pic.twitter.com/uWSYG3u3eN— Indovina Chi Viene a Cena (@ChiVieneACena3) March 29, 2020
Il Covid-19? Si cura con la bile di orso secondo Pechino
La situazione appare ancor più complicata, poiché come riporta un articolo del Wall Street Journal del 12 aprile scorso, la Cina, parallelamente alla decisione di eliminare il consumo alimentare di animali selvatici, sta promuovendo incentivi fiscali all’esportazione verso paesi come Vietnam, Taiwan, Corea del Sud e Hong Kong di 1.500 tipologie di prodotti derivati da animali quali serpenti, tartarughe, scimmie, castori e zibetti; oltre a promuovere rimedi come la bile di orso per la cura per il Covid-19. Anche paesi occidentali, come gli Stati Uniti, sembrano essere interessati ai presunti rimedi della medicina tradizionale essendo i maggiori importatori di secrezione delle ghiandole di castori e zibetti (“musk”).
OMS: oltre 200 le zoonosi conosciute
I diversi motivi sociali, tradizionali ed economici rendono molto difficile bloccare il commercio di specie selvatiche a livello globale, e comunque si tratta solo della punta dell’iceberg del nostro pessimo rapporto con l’ambiente. Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità sono oltre 200 le zoonosi conosciute, ovvero le malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo, tra queste ci sono alcune note come la rabbia, la leptospirosi, l’antrace, la SARS, la MERS, la febbre gialla, l’AIDS e Ebola, ma esiste un reale rischio per il futuro legato a nuove patologie “emergenti”.
Le modalità con cui la nostra specie sfrutta le risorse naturali, come le foreste o direttamente le specie selvatiche, creano delle “opportunità” per agenti patogeni come i virus per “tracimare” dai loro serbatoi naturali rappresentati da specie quali i pipistrelli o gli uccelli e infettare l’uomo. La distruzione delle foreste frammenta le popolazioni di animali selvatici e possono creare situazioni di prossimità tra i virus, l’uomo e gli animali domestici come accadde con il virus Hendra in Australia nel 1994 e con Nipah in Malesia nel 1998; oppure possono “saltare” dalle specie selvatiche all’uomo come accaduto sempre con il virus Nipah in Bangladesh (2001), con la SARS (2002), la MERS (2012) e l’attuale nuova SARS-CoV-2.
Un costo “trilionario” per il mondo
I dati ufficiali, dicono che a metà aprile è stato superato un milione e mezzo di persone contagiate dal nuovo coronavirus, anche se i virologi sospettano siano dieci volte maggiori per la presenza di molti asintomatici: un costo umano di quasi 90mila decessi e le Nazioni Unite stimano in un trilione di dollari il costo globale per l’economia del Pianeta con la seria prospettiva di un costo molto maggiore per la probabile recessione arrivando, secondo il Time, a 4,1 trilioni di dollari.
Cinque punti per un’azione globale a medio termine
Nonostante le numerose avvisaglie, questa pandemia ha colto il mondo impreparato, generando risposte non coordinate nei modi e nei tempi, evidenziando la scarsa cultura della prevenzione e tutte le contraddizioni del sistema socio-economico. Serve un’azione internazionale coordinata a medio e lungo termine per ridurre le opportunità che facilitano gli “spillover”:
- revisione della gestione degli allevamenti intensivi,
- chiusura dei “wet market”,
- conversione della medicina tradizionale verso i derivati sintetici,
- arresto dell’aggressione degli habitat naturali,
- adeguamento e applicazione delle norme nazionali e internazionali.
Le parole di Papa Francesco lo hanno ricordato con forza in questi giorni: «Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato». Se cercheremo semplicemente di tornare al precedente stile di vita, senza sfruttare questa traumatica esperienza per individuare una strada per una migliore qualità della vita allora, varranno le parole dello scienziato americano Jared Diamond: «cominciamo a preoccuparci della prossima epidemia».
Fabrizio Bulgarini è stato per 20 anni responsabile Conservazione della Biodiversità del WWF Italia. Si è occupato dell’organizzazione del più grande centro di recupero per la fauna esotica sequestrata e confiscata in Italia. Attualmente collabora con ONG, aree protette e enti pubblici. Autore di articoli scientifici e pubblicazioni tra cui i libri “Viaggiatori straordinari” e “Animale sarai tu”.
Gaia Angelini, specializzata in diritto internazionale e campagne su wildlife e lobby europea, è partner della società di consulenza ambientale Lumina Consult e presidente della start-up non-profit Green Impact.