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Tutto per una statuina. Continua impunita la strage degli elefanti africani

Il 3 marzo è la giornata per la tutela degli animali selvatici. Il commercio di avorio sta sterminando gli elefanti. La normativa internazionale non basta a fermarlo

Gaia Angelini, Mauro Belardi, Andrea Crosta, Maria Silvia D’Alessandro, Eleonora Panella
Foto @IFAW - Donal Boyd
Gaia Angelini, Mauro Belardi, Andrea Crosta, Maria Silvia D’Alessandro, Eleonora Panella
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20 miliardi di dollari all’anno. Tanto frutta il traffico illegale di specie protette. In primis gli elefanti, obiettivo principale dei trafficanti, a causa del fiorente commercio illegale dell’avorio.

L’elefante africano è uno dei mammiferi più uccisi illegalmente al mondo. Dal 2011 a oggi ne sono stati sterminati tra 20 e 30 mila all’anno.

Si stima che negli ultimi 100 anni sia stato ucciso il 90% degli elefanti africani. Ne sono rimasti circa 400.000. Nel 1970 erano 1,3 milioni, 10 milioni nel 1930.

Vale la pena ricordarlo oggi, 3 marzo, giornata internazionale dedicata dalle Nazioni Unite alla tutela della vita degli animali selvatici: il World Wildlife Day. Un’ occasione per celebrare il ruolo essenziale del patrimonio naturalistico del Pianeta e delle attività di conservazione.

L’illustrazione ufficiale della campagna per il World Wildlife Day 2020, intitolata “Sostenere tutta la vita sulla Terra”. Credit: World Wildlife Day/Patrick George

I governi spendono decine di milioni all’anno per contrastare il fenomeno, ma non sta servendo. Il traffico di specie protette continua ad essere diffuso, sostenuto dalla criminalità organizzata transnazionale e facilitato dalla corruzione in molti Stati.

Di fronte a normative internazionali insufficienti a combattere questa strage, alcuni Stati hanno preso delle iniziative unilaterali vincolanti. L’unione europea no. In passato leader globale nel contrasto al commercio illegale di specie protette, oggi è il protagonista politico più debole.

Foto @IFAW – Donal Boyd

Le rotte dell’avorio

Difficile quantificare il traffico di avorio e tracciarne le rotte. Il monitoraggio delle vie del commercio di avorio e la sua eventuale confisca, infatti, dipendono dagli sforzi e dalle risorse messi in campo dai governi per fronteggiare questi crimini. Spesso il fatto che non venga individuato un traffico di questa materia preziosa non significa che non ci sia davvero, ma solo che è sommerso. E che il lavoro investigativo e delle forze di polizia non è stato svolto adeguatamente.

Ad oggi l’Unione Europea è considerata il più grande ri-esportatore di avorio al mondo verso Stati extra Ue. Tra il 2010 e il 2015 l’Italia figurava come il terzo ri-esportatore mondiale di avorio, dopo UK e USA.

La Cina è stata, fino a poco tempo fa, il più grande mercato di avorio illegale in tutto il mondo e ha importato la stragrande maggioranza dell’avorio grezzo sul mercato globale (come dimostra l’ Elephant Trade Information System).

Nel dicembre 2016 il Consiglio di Stato cinese ha annunciato il divieto di trasformazione e vendita di avorio e prodotti in avorio. Nel 2017 ha pubblicato un elenco di quasi 2.000 rivenditori di avorio che hanno cessato le operazioni relative all’avorio.

Dopo lo stop di Pechino, il Vietnam sta diventando la più importante destinazione di avorio illegale.

Un negozio a Pechino di zanne decorate (foto Earth League International)

Norme internazionali troppo blande

A livello internazionale la normativa di riferimento è la Convenzione di Washington del 1973 sul commercio internazionale di specie minacciate di estinzione (CITES).  È un regime vincolante, ma estremamente debole quando si tratta di essere applicata nei singoli Stati.

Lo dimostrano i risultati: a partire dagli anni ‘70 la domanda di avorio ha subito un’impennata senza precedenti, accompagnata dal progressivo aumento del prezzo di tale “merce” preziosa e degli interessi economici legali sovrapposti a quelli illegali. È evidente che gli strumenti legali e politici a disposizione della Convenzione non sono stati efficaci a contrastare i fenomeni criminali.

Molte le debolezze della CITES:  innanzitutto non può obbligare gli Stati contraenti a imporre determinate sanzioni nei confronti di chi viola la normativa, né sanzionare i Paesi che non applichino la Convenzione.

Blanda la tutela degli elefanti: nel 1990 fu proibito il commercio di avorio, ma non l’uccisione di elefanti.

E nel 1997 il Botswana, lo Zimbabwe , la Namibia e il Sud Africa hanno ottenuto la sospensione anche del divieto di commercio  di avorio dai loro Stati.

Un negozio a Hong King di manufatti in avorio (foto Earth League International)

La lotta isolata di alcuni Paesi

Di fronte a una normativa internazionale insufficiente, recentemente diversi Stati hanno preso delle iniziative unilaterali per contrastare il commercio legale e il traffico di avorio.

Regno Unito, Francia, Belgio, Lussemburgo, Svezia, Paesi Bassi, Stati Uniti,  Cina, Hong Kong e Singapore tra il 2016 e il 2019 hanno introdotto normative nazionali unilaterali di proibizione del commercio, dell’importazione e dell’esportazione di avorio grezzo (zanne) e di quello lavorato (antichità, manifatture, e strumenti musicali).

L’Europa resta indietro

L’Unione Europea, invece, fino ad ora non ha intrapreso nessuna misura simile. Sul tavolo degli Stati membri Ue c’è la proposta di una nuova regolamentazione, ma è al momento dibattuta con lentezza.

L’attuale legislazione europea è molto intricata: esistono divieti sulla commercializzazione di avorio “moderno” – considerato tale se prelevato dopo il 1989 – mentre l’avorio ricavato prima di questa data e quello pre-1947 (definito “antico”) sono considerati legalmente commercializzabili. Ma definire l’età esatta di un oggetto realizzato interamente o parzialmente in avorio è quasi impossibile, senza praticare il costoso test del radiocarbonio 14. Per cui capita che i trafficanti mettano in atto metodi per alterare l’età dell’avorio per  schivare i divieti.

Una grave lacuna se si pensa che, come scritto sopra, l’Unione Europea è il maggiore ri-esportatore di avorio verso Stati extra-Ue. Nel 2018 la CITES ha approvato una Risoluzione che raccomanda  a tutti gli Stati contraenti di chiudere il mercato interno dell’avorio, tuttavia  l’Unione Europea non ha ancora finalizzato una misura netta in tal  senso.

In Italia norme inefficaci: violarle conviene

L’Italia è l’esempio tipico di un Paese dove la convenzione di Washington è stata applicata in un modo assolutamente inefficace a contrastare il traffico illegale di avorio. La legge italiana, infatti, per chi importa, esporta o ri-esporta “oggetti personali o domestici derivati da esemplari  di elefanti” considerati illegali, prevede solo una sanzione amministrativa.

Una multa, con cifre irrisorie rispetto ai guadagni di tale traffico: da un minimo di 6.000 euro ad un massimo di 30.000 euro. Uno strumento per nulla efficace, se si pensa che una sola zanna o un manufatto d’avorio può valere tra i 30 e i 50 mila euro.

È lampante la sproporzione della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito: il danno arrecato alla biodiversità.

La piaga del commercio legale

In parallelo un altro problema: il mantenimento in molti Stati del commercio legale di avorio. Concessione, fortemente voluta da alcuni Stati africani e da vari importatori, che ha permesso di continuare a uccidere gli elefanti al fine del commercio di avorio anche legalmente e sommergere il traffico illegale con il pretesto del commercio legale.

Nel 2016 l’IUCN (International  Union Conservation Nature, uno degli organismi internazionali più accreditati in tema di conservazione) chiedeva ai governi degli Stati di eliminare il loro mercato interno legale o illegale di avorio di grezzo o lavorato tramite misure normative mirate.

D’altro canto la comunità internazionale riunita nella Convenzione CITES non ha mai trovato il consenso politico per proibire completamente almeno il commercio legale di avorio a causa di forti interessi di alcuni Stati africani e degli Stati importatori in Europa e Asia che nel frattempo avevano sviluppato un’industria manifatturiera.

Stop al commercio di avorio. Lo chiedono le Ong…

Numerose le richieste da parte di Ong e associazioni per la tutela delle specie protette rivolte ai governi, in particolare all’Ue. La campagna europea di IFAW (Il Fondo Internazionale per il Benessere Animale, che ha progetti in tutto in mondo a favore della protezione della  fauna selvatica, degli  animali marini e da compagnia), chiede all’Ue la rapida introduzione di una legislazione vincolante, completa e permanente, che  vieti l’importazione di avorio da stati non-Ue verso stati Ue e viceversa.

In Italia IFAW lavora ad un progetto sull’avorio con il partner  ELIANTE e collabora con LEIDAA, con le quali  promuove nuove  normative nazionali ed europee su questa emergenza.

…e i cittadini europei

La richiesta di una chiusura del mercato dell’avorio è arrivata anche dai cittadini europei. Nel periodo 2017-2018 in 90mila hanno risposto a una consultazione pubblica  e 1,2 milioni hanno firmato una petizione di IFAW e AVAAZ per chiedere un’azione europea di chiusura del mercato dell’avorio. Tuttavia il tema  è ancora  dibattuto e senza esito certo. Nel 2018 anche 32 Leaders di Stati Africani hanno sottoscritto un appello per la chiusura del mercato europeo dell’avorio.

Ad oggi l’ Unione Europea si è espressa con degli atti chiari ma non vincolanti contro il traffico di specie protette con un Piano di Azione del 2016 e con delle Linee Guida del 2017 per limitare il traffico di  avorio.

Ma il sistema sanzionatorio rimane frammentato ed inefficace a contrastare uno dei più importanti e redditizi traffici illegali sul Pianeta.

Il Kenya distrugge l’avorio confiscato

Leader nella lotta al traffico di elefanti, il Kenya è stato il primo Stato al mondo ad inaugurare gli atti dimostrativi di distruzione pubblica dell’avorio confiscato. Nel 1989 il primo episodio, nel 2016 il più vasto mai eseguito al mondo:  più di  100 tonnellate di avorio distrutto, valutate a 172 milioni di dollari sul mercato illegale.

Il messaggio del Kenya è semplice: l’avorio è un oggetto utile solo e soltanto  quando è parte integrante del corpo dell’elefante, altrimenti è senza valore e per questo può essere distrutto.

L’Environmental Investigation Agency (EIA) ha ricostruito le 175 più grandi confische di avorio (di almeno 500 kg l’una) che sono avvenute tra il 2000 e marzo del 2019 e  che corrispondono a 43.840 elefanti morti. E ha rilevato che solo il 13% di queste confische hanno portato a condanne per i colpevoli.

 

* Gaia Angelini e Mauro Belardi collaborano con l’Ong ELIANTE; Maria Silvia D’Alessandro con LEIDAA, Andrea Crosta con EARTH LEAGUE INTERNATIONAL; Eleonora Panella con IFAW