Come sconfiggere ogni coronavirus per sempre? Con Stato e industria alleati
Banche dati e incentivi adeguati possono spingere le case farmaceutiche a condividere le scoperte sulle strutture dei virus, velocizzando la creazione di farmaci anti-epidemie
Circa cinque settimane dopo l’apparire dei primi casi di COVID-19, un gruppo di scienziati basati a Shanghai, in Cina, ha depositato la prima struttura 3D di una delle proteine principali appartenenti al virus che causa la malattia, nel “Protein Data Bank” (PDB), un archivio open-access per il deposito di dati riguardanti strutture biologiche. Come è successo con la Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS) e la Sindrome Respiratoria del Medio Oriente (MERS) – entrambe causate da coronavirus – gli scienziati stanno condividendo informazioni in modi che non sono quelli tipici dei settori competitivi commerciali.
La conoscenza delle strutture delle proteine del virus che causa COVID-19 potrebbe infatti contribuire significativamente ad accelerare la messa a punto di farmaci e vaccini. Ma ciò non accadrà se altri ostacoli – finanziari, regolatori o legali – si interporranno. Abbassare tali ostacoli è essenziale per difendersi da COVID-19 e prepararsi alle inevitabili epidemie future.
La scelta controcorrente della SGX Pharmaceuticals
Se alla metà degli anni 2000 fossero stati offerti incentivi adeguati a coloro che li cercavano, oggi sarebbe probabilmente già disponibile un farmaco per COVID-19. Nel 2003, SGX Pharmaceuticals – una società in cui all’epoca ho condotto attività di ricerca – aveva depositato nel “Protein Data Bank” la prima struttura di una proteina appartenente al virus SARS (la sua principale proteasi, un target ideale per lo sviluppo di un farmaco). La nostra decisione ha sorpreso i concorrenti, poiché i dati sono stati resi disponibili senza restrizioni o obblighi di royalties. Da allora, centinaia di strutture proteiche aggiuntive appartenenti a questo come ad altri coronavirus sono state condivise con questa stessa modalità. Molte di queste hanno rivelato come le proteine virali possano essere rese inefficaci da piccole molecole.
Durante l’epidemia di SARS ero fiducioso che le compagnie farmaceutiche si sarebbero basate su dati open-access e avrebbero prodotto farmaci anti-SARS. Nessun farmaco era prossimo allo sviluppo. Un decennio dopo sulla scia dell’epidemia di MERS, ero altrettanto ottimista. Ancora una volta, sono rimasto deluso. Gli economisti lo definiscono un fallimento del libero mercato.
Senza una chiara prospettiva di entrate dagli investimenti in farmaci per future epidemie, la maggior parte delle aziende sceglie di concentrarsi su potenziali blockbuster. Ecco perché i settori pubblico e privato devono lavorare insieme.
L’esempio positivo sulla fibrosi cistica
Attualmente sono in corso progetti collaborativi sulla malaria, sulla resistenza agli antibiotici e su malattie neglette, ma uno sforzo più mirato sul coronavirus potrebbe prepararci meglio per una futura epidemia e suggerire percorsi per affrontare bisogni medici non soddisfatti. Un esempio di successo nel riuscire a superare un fallimento di mercato è rappresentato dal caso della fibrosi cistica, una malattia che colpisce solo circa 70mila individui in tutto il mondo. Una partnership innovativa tra la Fondazione per la fibrosi cistica, una fondazione senza scopo di lucro basata a Bethesda, nel Maryland, e la società biotecnologica Vertex Pharmaceuticals basata a Boston in Massachusetts, ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci, sicuri ed efficaci.
Leggi anche...
Coronavirus: la sanità mondiale alla prova della resilienza
La sfida del SARS-CoV2 sta dimostrando l'importanza di costruire modelli sanitari capaci di adattarsi alle crisi. Ma servono investimenti adeguati e progettualità
Il ruolo chiave della proteasi
Potrebbe sembrare avventato investire denaro pubblico o privato nella lotta contro un agente patogeno che deve ancora essere identificato, ma esiste un modo logico di procedere. Come i coronavirus, molti virus inizialmente producono la loro mezza dozzina di proteine essenziali come lunghe stringhe di amminoacidi, che non funzioneranno fino a quando non saranno tagliate a pezzi da enzimi che funzionano come “macchine da taglio” – le proteasi virali. Senza la sua proteasi principale, un’infezione da coronavirus non può diffondersi. Le principali proteasi dei virus che causano SARS e COVID-19 sono identiche al 95% nella loro sequenza aminoacidica. Ancora più importante, i loro siti attivi (“forbici” molecolari) sono identici a livello di aminoacidi e differiscono solo marginalmente nella struttura 3D.
È probabile che un farmaco capace di bloccare la principale proteasi di un coronavirus funzioni anche per un altro coronavirus. Come esperto di piccole e grandi compagnie farmaceutiche e attuale direttore del Data center statunitense del “Protein Data Bank”, sono molto consapevole di quanto sia in grado l’industria di sviluppare farmaci basati su proteasi. Decine di milioni di pazienti beneficiano ogni giorno di farmaci inibitori di proteasi per il trattamento della pressione alta o l’insufficienza cardiaca.
L’idea di una nuova categoria normativa per farmaci ad ampio spettro
Invito i leader mondiali a impegnarsi a introdurre una nuova categoria normativa per farmaci ad ampio spettro che possono essere mantenuti come riserva contro le future epidemie, che segua appositi criteri per dimostrarne sicurezza ed efficacia. Le aziende concederebbero in licenza questi farmaci ai governi o ad un’organizzazione non governativa (ONG) in cambio di premi finanziari e di scarico di responsabilità, incentivi necessari che rimarrebbero indipendenti dalle vendite dei farmaci.
Quando la prossima epidemia colpirà, il sequenziamento del genoma virale potrebbe aiutare a stabilire quali farmaci rappresentano le migliori opzioni terapeutiche. I fondi pubblici verrebbero utilizzati per pagarne la produzione e la distribuzione. Anche le sperimentazioni cliniche su farmaci già approvati o di cui sia già testata la sicurezza, potrebbero essere riposizionati per altre indicazioni e dovrebbero seguire il medesimo percorso.
Qualche centinaio di milioni avrebbe evitato la strage globale da SARS-CoV-2
Ci sono molti dettagli da elaborare, ma la posta in gioco è così alta che dobbiamo far sì che simili piani si realizzino. I responsabili delle politiche governative, i leader del settore e i rappresentanti delle ONG hanno un ruolo importante nella costruzione del consenso e nello sviluppo di una simile struttura. Mi viene in mente la crisi dell’ozono degli anni ’80. Il riconoscimento universale di una minaccia imminente per la vita sul pianeta e la concordanza della scienza nel trovare un nesso tra i clorofluorocarburi e l’esaurimento dell’ozono hanno ispirato il protocollo di Montreal del 1987 che ne vietava la produzione. Nel 2019, la NASA ha riferito che il “buco dell’ozono” stagionale si è ridotto raggiungendo la dimensione più piccola registrata dal 1982.
Un numero crescente di infezioni e decessi per COVID-19 mostra che dobbiamo prepararci per la prossima epidemia di coronavirus. E la scienza è chiara come lo era con l’ozono. Con il senno di poi, possiamo vedere che un investimento di qualche centinaio di milioni di dollari dopo l’epidemia di SARS avrebbe potuto evitare migliaia di decessi da COVID-19 e le perdite economiche che sono destinate a superare ampiamente il trilione di dollari in tutto il mondo. È tempo che i governi, l’industria e le ONG affrontino faccia a faccia il fallimento del libero mercato dei medicinali d’urgenza.
* L’autore è docente alla Rutgers University in Piscataway, New Jersey, dove guida la US RCSB Protein Data Bank. L’articolo originale (“How to help the free market fight coronavirus”) è stato pubblicato sul n.580 della rivista Nature il 9 aprile 2020.