L’Unione Bancaria che non arriva e rischi per l’Europa
C'è grossa crisi, la rubrica che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi
Negli scorsi giorni è stata rinviata per l’ennesima volta l’Unione Bancaria in Europa, o meglio quello che spesso viene indicato come il terzo pilastro di questa stessa Unione. Il progetto prevede di spostare la vigilanza sulle banche dal livello nazionale a quello europeo (primo pilastro), una risoluzione unica delle crisi bancarie (secondo pilastro), e un sistema unico di garanzia dei depositi, appunto il terzo pilastro che però ancora non vede la luce.
Semplificando, l’idea di questo terzo pilastro è che i conti correnti di tutti i cittadini europei siano garantiti da un unico fondo comunitario. Perché non si riesce ad arrivarci? Il motivo è il disaccordo tra i Paesi del Nord Europa, Germania in testa, e quelli del Mediterraneo. I tedeschi, ma non solo, sono preoccupati dalla fragilità delle banche dei Paesi del Sud.
Il nodo principale, che riguarda in primo luogo l’Italia, è il fatto che le nostre banche detengono quantità molto rilevanti di titoli di Stato del nostro Paese. Oggi tutti i titoli di Stato dei Paesi Ue sono considerati a rischio zero nei bilanci delle banche. Se ci fossero però difficoltà per l’Italia nella gestione del proprio debito pubblico, e in caso estremo un default sul debito, i problemi ricadrebbero immediatamente sulle banche che hanno tali titoli nei propri portafogli.
Per questo i tedeschi chiedono, prima di procedere con l’Unione Bancaria, di introdurre una valutazione del rischio anche per i titoli di Stato. Una cosa inaccettabile per l’Italia. Se infatti i nostri Bot e Btp fossero considerati investimenti rischiosi per le banche, queste li acquisterebbero in misura molto minore, o chiedendo un interesse più alto a fronte del rischio che dovrebbero contabilizzare a bilancio, mettendo in grosse difficoltà il nostro Paese.
Siamo però sicuri che sia questo il principale problema a cui guardare? E siamo sicuri di dovere prendere lezioni dalla Germania? La più grande banca del Paese, la Deutsche Bank, detiene un portafoglio in derivati nell’ordine delle decine di migliaia di miliardi di euro. Qualche tempo fa il Financial Times pubblicava un articolo intitolato “la stupidità della Deutsche Bank sui derivati”, nel quale l’esposizione del gigante tedesco in derivati veniva definita “terrificante”.
Ecco, quali potrebbero essere le conseguenze di una perdita anche relativamente limitata su questo portafogli? E quali rischi potrebbe porre alla stabilità finanziaria non solo tedesca o europea, ma internazionale?
Un problema che probabilmente non si porrebbe, almeno non in queste dimensioni, se si fosse arrivati alla separazione tra banche commerciali e di investimento, discussa in Europa dopo la crisi del 2008. Una proposta bloccata, guarda le coincidenze, dall’azione di lobby principalmente in Germania, oltre che in Francia e Gran Bretagna.
Certo, l’esposizione in titoli di Stato potrebbe essere un problema per le banche italiane, ma l’attuale discussione sull’Unione Bancaria e i rischi connessi ricorda molto, ma molto da vicino la parabola della pagliuzza e della trave.