Clima, diritti, pace: i temi di un altro anno di azionariato critico per Fondazione Finanza Etica

12 aziende e altrettante assemblee, 298 domande, 49 voti: sono i numeri dell’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica nel 2024

L'azionariato critico prevede di acquistare un numero simbolico di azioni per conquistare il diritto-dovere di partecipare alla vita di un'azienda © hxdbzxy/iStockphotos

Thyssenkrupp, ACEA, Fincantieri, Generali, Rheinmetall, ENI, Adidas, Bonifiche Ferraresi, Enel, Leonardo, Solvay, Inditex. Sono dodici grandi aziende – italiane e non – che entrano nella vita quotidiana delle persone in tanti modi. Fondazione Finanza Etica le ha scelte per la sua attività di azionariato critico e ha partecipato alle loro assemblee degli azionisti nella stagione 2024. Ponendo 298 domande, facendo quattro interventi, presentando due mozioni ed esprimendo 49 voti su cinque ambiti – così li descrive la stessa Fondazione – «scivolosi, difficili, sui quali nessuna azienda può permettersi di giocare o essere incoerente oppure opaca»: crisi climatica, pace e diritti umani, gestione della risorsa idrica, governance e fiscalità.

L’azionariato critico, uno strumento di democrazia economica

Era il 2008 quando Fondazione Finanza Etica faceva il suo debutto nell’azionariato critico, acquistando un numero simbolico di azioni di Enel ed Eni e, di conseguenza, il diritto a partecipare attivamente alla vita delle due società. In un’economia sempre più finanziarizzata, in cui il capitale azionario delle imprese è in mano a pochi grandi investitori istituzionali (fondi pensione e d’investimento, assicurazioni, banche, hedge fund, private equity), l’azionariato critico diventa uno strumento di democrazia economica. Perché l’obiettivo principe di questi soggetti – che a loro volta raccolgono e gestiscono i capitali dei piccoli risparmiatori – è quello di massimizzare i propri profitti. Il parametro che definisce il successo delle imprese, dunque, diventa la loro capacità di far salire i prezzi dei titoli sui mercati finanziari e di staccare generosi dividendi.

In questo scenario, le assemblee annuali degli azionisti si riducono a mere formalità. Ma è qui che entrano in gioco gli azionisti critici. Spesso bollati come “disturbatori”, in realtà sono anch’essi proprietari di una piccola quota dell’azienda e, in quanto tali, esercitano il proprio diritto-dovere di partecipazione. Spesso dando voce anche alle comunità del Sud del mondo e alle organizzazioni della società civile provenienti dai Paesi in cui le imprese operano. Presentando mozioni e ponendo domande scomode, gli azionisti critici costringono il management a esprimersi anche su temi sociali, ambientali e di governance. Con una grande ambizione: dimostrare alle aziende che una condotta disattenta o irresponsabile le espone a ripercussioni legali e reputazionali. E, dunque, è controproducente. Perché mette a repentaglio anche la loro stessa capacità di generare profitti per gli azionisti.

Un altro anno di engagement di Fondazione Finanza Etica

Nella migliore delle ipotesi, l’azionariato critico accompagna l’azienda in un percorso di cambiamento. È successo per esempio con Enel per diversi anni. Dopo aver duramente criticato gli investimenti in carbone e nucleare e la costruzione di dighe nella Patagonia cilena, Fondazione Finanza Etica ha accolto positivamente l’ambizioso piano di decarbonizzazione lanciato durante la leadership di Francesco Starace. Con il cambio al vertice del 2023, si rischia di dover ricominciare daccapo. Tant’è che tra i temi di engagement del 2024 torna a fare capolino il nucleare. Alla domanda degli azionisti critici, Enel ha risposto dicendosi a favore della neutralità tecnologica, nonostante le nuove tecnologie nucleari inneschino una dipendenza dalla Russia.

Più complicato il dialogo con Eni, colosso petrolifero che continuerà a espandere la produzione di gas e petrolio fino al 2030 (e non più fino al 2025, come indicato inizialmente). Questo è stato uno dei temi al centro delle oltre 80 domande poste durante l’ultima assemblea degli azionisti (rigorosamente a porte chiuse) e dell’incontro online tra l’azienda e un gruppo di investitori etici, tra cui la stessa Fondazione e altri membri della coalizione Shareholders for Change. Ma non è stato l’unico. Gli azionisti hanno chiesto lumi anche sull’esplorazione di gas in Palestina, attualmente ferma. E sull’impiego nelle bioraffinerie dei derivati dell’olio di palma, dichiaratamente nocivi per il clima.

Quello con Leonardo si è rivelato un muro contro muro. Tante le questioni poste dagli azionisti critici, tra cui la suddivisione del fatturato e sugli occupati per singolo stabilimento, il coinvolgimento nella produzione di armi nucleari, i timori sull’incompatibilità dell’incarico di Roberto Cingolani. Lacunose ed elusive le risposte ottenute.

Due “new entry” nel settore dell’abbigliamento: Adidas e Inditex

Il 2024 è stato l’anno in cui Fondazione Finanza Etica ha acquistato per la prima volta un’azione di due colossi globali dell’abbigliamento. Alla sua prima assemblea di Adidas, ha chiesto all’azienda tedesca di aderire alla campagna di aderire all’iniziativa #payyourworkers (paga i tuoi lavoratori), promossa dalla Clean Clothes Campaign (CCC), partner di questa attività di azionariato critico. L’iniziativa prevede di creare un fondo di garanzia per pagare le indennità di licenziamento ai lavoratori impiegati dai subfornitori. La multinazionale sostiene che questa strada non sia percorribile, almeno per ora, ma si dice disponibile a trovare altre formule.

La logistica è invece il principale tema di engagement con gruppo spagnolo Inditex, a cui fanno capo marchi come Zara, Oysho, Bershka e Stradivarius. L’uso intensivo del trasporto aereo per le collezioni, infatti, fa guadagnare in velocità ma è anche enormemente più impattante in termini di gas serra. Dapprima con una lettera e poi in assemblea, Fondazione Finanza Etica ha chiesto più trasparenza sulle emissioni del trasporto aereo e un piano dettagliato per ridurle. Le risposte? «Deludenti», almeno per ora. Ma c’è margine per fare passi avanti, tanto più perché altri colossi del fast fashion stanno perlomeno affrontando il tema.