Non bastano le assemblee a porte chiuse per “spegnere” l’azionariato critico

Fondazione Finanza Etica ripercorre i numeri, i risultati e le sfide di un altro anno di azionariato critico nel suo Engagement Report 2023

Una parte della copertina dell'Engagement Report 2023 di Fondazione Finanza Etica

Undici imprese, italiane e straniere, ingaggiate come azionisti critici. Partecipazione attiva in 9 assemblee generali degli azionisti. 172 domande rivolte alle imprese ingaggiate. Un intervento in presenza in assemblea. 6 mozioni presentate e votate. 50 votazioni espresse nelle assemblee. Questi gli highlights dell’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica nel 2023.

Un altro anno di assemblee degli azionisti a porte chiuse

Un’annata difficile per l’azionariato critico perché, come per le due precedenti, la gran parte delle assemblee delle imprese di cui siamo azionisti sono state “a porte chiuse”. Cioè in remoto, ma senza poter interagire perché si sono svolte solo attraverso un rappresentante nominato dall’impresa.

È stato il governo Meloni a volere questa modalità, pur non essendovene una reale necessità, dal momento che era stata prevista durante il Covid. Ma intanto il Covid è stato declassato. Ed è evidente che il motivo è di tutt’altra natura: quello di evitare il disturbo degli azionisti (critici o meno) al manovratore dell’azienda. Tanto è vero che questa modalità è diventata legge, sempre per iniziativa del governo Meloni.

Infatti, il cosiddetto decreto Capitali del 6 novembre 2023 all’articolo 11 stabilisce «ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima dell’assemblea». Inoltre il decreto Covid è prorogato fino al dicembre 2024 per consentire alle società di cambiare gli statuti per la stagione assembleare 2024. Si tratta di una limitazione significativa dei diritti degli azionisti, come ha anche sottolineato il presidente della Consob, Paolo Savona.

In ogni caso, tutte le società italiane a cui partecipiamo si sono avvalse di questa possibilità, ad eccezione di Enel, l’unica ad aver organizzato l’assemblea degli azionisti in presenza nel 2023. Dimostrando, così, che le assemblee a porte chiuse erano una scelta del management, non una strada obbligata. Dunque, nel 2023 le domande di Fondazione sono state formulate in forma scritta, prima dell’assemblea, e direttamente a voce, nell’ambito della discussione assembleare, solo per Enel.

Le domande di Fondazione Finanza Etica alle grandi imprese

Le prime domande che abbiamo presentato a tutte le aziende cercavano di scavare nelle motivazioni per cui queste avevano scelto di tenere le assemblee a porte chiuse. Le risposte sono state le più varie e fantasiose. Ma tutte, alla fine, convergevano verso una: lo abbiamo fatto perché potevamo farlo.

L’engagement report relativo all’azionariato critico del 2023 è organizzato per cinque ambiti tematici (crisi climatica, pace e diritti umani, gestione della risorsa idrica, governance, fiscalità) e può essere anche consultato per ognuna delle imprese interessate: Enel, Endesa, Eni, Generali, H&M, Solvay, Leonardo, Rheinmetall, ThyssenKrupp, Fincantieri, Acea.

È possibile avere dunque una visione d’insieme per tematica affrontata. E, singolarmente per ogni impresa, approfondire le specifiche problematiche sollevate, le domande e le risposte che Fondazione ha posto e ricevuto, le collaborazioni con le diverse realtà della società civile italiana e internazionale. Per ciascuna impresa, il report offre una panoramica informativa e spiega le motivazioni per cui Fondazione ha fatto azionariato critico su di essa.

L’azionariato critico è prima di tutto un dialogo con il management

L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica non è una mera denuncia di quello che non va dal punto di vista ambientale, sociale e di gestione nell’impresa, ma è piuttosto un dialogo e un ingaggio con il management per cercare di spingere l’azienda verso cambiamenti magari piccoli ma concreti e non semplicemente dichiarati. Quando questo ingaggio sortisce risultati, come nel caso di Generali, riesce a produrre effetti positivi tanto per la Fondazione quanto per l’azienda. Il dialogo può svilupparsi dopo i primi anni di confronto-scontro, passando per una dialettica man mano più positiva. È stato il caso di Enel e, in parte, anche di Acea.

Talvolta il dialogo raggiunge livelli di notevole positività, ma basta un cambio di governance per farlo arretrare. È stato il caso di Enel, dove l’uscita di scena forzata di Francesco Starace e la nomina di un campione del petrolio e del gas come Paolo Scaroni ha subito cambiato il clima. Enel negli anni di Starace aveva davvero compiuto passi avanti importanti verso la transizione energetica.

Poi ci sono le imprese con cui sembra proprio impossibile riuscire a trovare un terreno comune di confronto. In particolare, le aziende del settore militare non riescono neppure a concepire l’idea che almeno una maggiore diversificazione produttiva fra civile e militare possa garantire maggiore prosperità nel medio-lungo periodo. Leonardo, Rheinmetall, Fincantieri, ThyssenKrupp vedono gli azionisti critici come disturbatori del guidatore e tendono a chiudersi, non fornire informazioni intelligibili. Spesso, semplicemente, a non rispondere.

Come cambierà l’azionariato critico con la nuova normativa

L’engagement report di Fondazione Finanza Etica offre una panoramica completa su questa attività che svolgiamo dal 2008. I cambiamenti che la nuova normativa indurrà nello svolgimento delle assemblee degli azionisti, probabilmente, imporrà anche a noi un adattamento per rendere ancora più efficace questa azione.

Certamente non sarà per noi un disincentivo o un “suggerimento” ad ammorbidire i toni, semmai il contrario. È probabile che gli azionisti critici svolgeranno la propria attività durante tutto il corso dell’anno, non solo con le domande a risposta scritta, ma anche con un confronto diretto e nuovi strumenti. Perché siamo convinti che i diritti degli azionisti a interloquire con i vertici della “propria” azienda non debbano essere compressi, per il bene dell’azienda stessa.