Banche e carbone, la lista dei “buoni” si scopre con un clic
Un team di 24 Ong ha creato uno strumento per vagliare gli investimenti nel carbone di 214 banche. Promossa la policy di Unicredit. Bocciate Intesa e Generali
Uno strumento online per identificare, valutare e confrontare le politiche adottate dalle istituzioni finanziarie di tutto il mondo per limitare o porre fine ai loro servizi finanziari destinati al settore del carbone. Lo hanno lanciato l’organizzazione Reclaim Finance, in collaborazione con Greenpeace, Re:Common e altre 24 Ong internazionali. Il “Coal Policy Tool”, il primo nel suo genere, vaglia le politiche relative agli investimenti nel settore del carbone da parte di 214 istituzioni finanziarie su una griglia di punteggio coerente e trasparente.
Grazie al tool è possibile individuare quali grandi banche, riassicuratori, imprenditori e gestori patrimoniali non hanno ancora adottato provvedimenti per abbandonare il carbone.
Lo strumento, garantisce Reclaim Finance, sarà aggiornato in tempo reale e copre 30 Paesi, dall’Australia agli Stati Uniti, passando per l’Italia.
Per rispettare l’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi centigradi, alle istituzioni finanziarie corre l’obbligo di fermare tutti i finanziamenti a livello di progetti specifici e alle singole aziende. In prima battuta quelle con piani di espansione nel settore del carbone. Insomma, è imperativo chiudere tutti gli asset di carbone esistenti. La roadmap ribadita anche da Reclaim Finance non accetta ritardi: banche e assicurazioni devono impegnarsi a portare a zero la loro esposizione al carbone entro il 2030 in Europa e nei paesi dell’OCSE e al più tardi entro il 2040 negli altri paesi.
Carbone, la lista dei “buoni” è scarna
Secondo l’analisi del Coal Policy Tool, solo 16 istituzioni finanziarie hanno una solida politica di eliminazione graduale del carbone. La maggior parte delle policy rimane infatti ancora troppo debole per impedire un’ulteriore crescita del settore.
Nella scarna lista dei “bravi” – non senza residuali margini di miglioramento – ci sono AXA, Crédit Agricole/Amundi, Crédit Mutuel e l’italiana UniCredit.
Il caso positivo
Crédit Agricole dice no al carbone
La prima banca a fissare una road map di stop ai finanziamenti al combustibile super-inquinante: 2030 nei Paesi OCSE, 2040 in Cina, 2050 nel resto del mondo
La svolta anti-carbone di Unicredit
Lo scorso agosto, in occasione della comunicazione dei risultati del secondo trimestre dell’anno, UniCredit ha infatti annunciato la decisione di adottare una politica che porti progressivamente fino a zero entro il 2028 qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone. Una politica resa pubblica in occasione del lancio del tool. Con questa decisione UniCredit ha accolto le richieste di Greenpeace e Re:Common. Le due organizzazioni dall’aprile 2019 avevano spinto il management della banca a prendere seriamente la sfida dei cambiamenti climatici e farla finita con l’inquinantissima polvere nera.
La politica si applicherà all’intero gruppo internazionale e l’intero settore del carbone, inclusi impianti di produzione elettrica e miniere, e alle operazioni in qualsiasi parte del pianeta. Ciò significa che UniCredit smetterà di finanziare le grosse utility tedesche e dei paesi dell’Est Europa, che ancora resistono alla fine del carbone in barba ad ogni impegno internazionale nella lotta ai cambiamenti climatici.
Le ampie zone grigie di Intesa Sanpaolo e Generali
L’altra faccia della medaglia, tra i big della finanza nostrana, è rappresentata da Generali e Intesa Sanpaolo. Il Leone di Trieste conserva legami molto forti con il carbone ceco e polacco delle società CEZ e PGE. Le loro centrali e miniere si stima causino oltre 1.800 morti premature in Europa ogni anno e un costo sanitario pari a 5,3 miliardi di euro.
Ma il Tool Coal Policy bacchetta ancor di più l’istituto di credito guidato dall’ad Carlo Messina. Intesa è infatti dotata di una politiche sul carbone tra le più deboli nel panorama del Vecchio Continente, nonostante non manchi occasione per farsi portavoce del Green Deal europeo. Addirittura non intende smettere di finanziare quelle società che ancora oggi prevedono di realizzare nuove centrali a carbone. Una scelta inaccettabile per quella che è considerata la banca di sistema italiana e alla quale sono state affidate le chiavi del paese, da quando gli istituti bancari filtrano la liquidità per le imprese in difficoltà in seguito al “Decreto Liquidità” di aprile.