Bosnia, la società civile insorge contro la centrale a carbone targata Intesa

La popolazione di Tuzla protesta contro i lavori di ampliamento dell'imponente centrale a carbone da 715 megawatt. Tra i finanziatori del megaprogetto anche Intesa Sanpaolo

Elena Gerebizza
Un momento delle proteste contro la discarica di scorie della centrale a carbone di Tuzla. FOTO: archivio Center from Ecology and Energy.
Elena Gerebizza
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Tuzla è la quarta città della Bosnia Erzegovina. Ha un passato industriale e un presente di disoccupazione e inquinamento che ricordano la nostra Brindisi. Come nella città pugliese, la minaccia più grande per la salute pubblica proviene da un impianto industriale, nello specifico una imponente centrale a carbone da 715 megawatt con sei unità costruite tra gli anni Sessanta e Settanta, una miniera di carbone a cielo aperto e una discarica delle polveri e di altri residui della centrale, situata appena fuori dalla città.

La centrale termoelettrica di Tuzla è uno dei più grandi impianti a carbone dei Balcani e tra le principali fonti di inquinamento non solo della Bosnia Erzegovina, ma dell’intera regione.

«Non lasceremo passare i camion»

Mentre la Bosnia Erzegovina decretava lo stato di emergenza, chiudeva i propri confini e iniziava ad applicare misure restrittive per fare fronte alla diffusione del COVID-19, a Tuzla i cittadini scendevano in strada per bloccare i lavori di costruzione della nuova discarica per le polveri di carbone della centrale termoelettrica, che dovrebbe sorgere nella frazione di Bukinje.

tuzla proteste contro centrale a carbone
Un momento delle proteste contro la discarica di scorie della centrale a carbone di Tuzla

«Nessuno ha informato gli abitanti di Bukinje che le scorie solide e le polveri di produzione della centrale di Tuzla sarebbe state depositate qui. Viviamo nella polvere e nel fango. Già prima eravamo in cattive condizioni di salute, ma adesso la nostra vita sta diventando insopportabile» ha denunciato Goran Stojak, presidente della circoscrizione di Bukinje. «Abbiamo chiamato la polizia, che non ha risolto il problema. Allora non lasceremo passare i camion (che stavano iniziando la costruzione della discarica, ndr)».

Morti premature e danni alla salute

Da anni gli abitanti protestano contro l’inquinamento generato dall’impianto. Secondo uno studio indipendente realizzato dalla coalizione Europe Beyond Coal, sarebbe stato causa di 274 morti premature e di oltre 500 casi di bronchite tra i bambini di Tuzla.

Impatti sanitari centrali a carbone nei Balcani calcolate su emissioni 2016
Impatti sanitari centrali a carbone nei Balcani calcolate su emissioni 2016 © Chronic Coal Pollution

Ora non solo la centrale è ben lontana dal chiudere, ma è addirittura in programma un suo ampliamento. Dovrebbe realizzarlo la società cinese China Gezhouba Group Co. Accanto a lei, alcuni investitori che a novembre sono entrati nel progetto assieme alla China Exim Bank, che ha erogato finanziamenti pe 614 milioni). Tra essi, oltre alla NLB e alla Sberbank (74 milioni di fondi), figura l’italiana Intesa Sanpaolo.

Intesa Sanpaolo al fianco di chi inquina

Non è un caso che la più grande banca italiana sia della partita “nera” in Bosnia. Secondo i dati di Urgewald che produce per numerosi investitori internazionali l’autorevole Global Coal Exit List, Intesa è il decimo prestatore al mondo per progetti e società che espandono la produzione elettrica da carbone. In questo modo “viola” il diktat del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che lo scorso settembre ha ammesso che non ci possiamo più permettere di costruire nuovi impianti a carbone, pena il definitivo tracollo climatico.

Il coronavirus non ferma i lavori

I lavori sulla nuova centrale, denominata Tuzla 7, che sembrava dovessero iniziare già lo scorso dicembre, sono stati bloccati proprio dall’emergenza coronavirus a Wuhan. Il caso ha voluto infatti che la sede della Gezhouba fosse nella città cinese, epicentro dell’epidemia, e che quindi la sua attività finisse in stallo già dallo scorso gennaio.

Nelle ultime settimane, mentre l’allarme per il COVID-19 montava anche in Bosnia Erzegovina, sono però iniziati i lavori per la nuova discarica, che all’inizio sembrava dovesse essere impiegata solo per la nuova centrale (con 450 megawatt addizionali), ma che invece serve urgentemente per garantire il funzionamento dell’impianto esistente. La discarica in essere, conosciuta come “Jezero”, è arrivata infatti al suo limite di capienza.

Un “lago” di scorie tossiche

Per rendersi conto dell’emergenza di salute pubblica a Tuzla è sufficiente “farsi un giro” virtuale su googlemaps: la discarica esistente infatti è un enorme deposito all’aria aperta dalle parvenze di un lago (da cui il suo nome, Jezero in bosniaco significa appunto lago) di acque e polveri di scarico, situato a nord-est di Bukinje, che secondo l’organizzazione ambientalista locale Center for Ecology and Energy, percolerebbero direttamente nella falda acquifera.

«Eravamo contrari alla costruzione della nuova centrale già da prima. Sappiamo infatti che la qualità dell’aria non potrà che peggiorare nei prossimi 5 anni» ci ha riferito Stojak. Come dargli torto, ancora di più adesso, vista la crescente consapevolezza che la pandemia da coronavirus mieterebbe più vittime proprio nelle zone più esposte all’inquinamento dell’aria, esattamente come quella di Tuzla.

L’allarme degli ambientalisti

«I finanziatori di nuove centrali a carbone sono molto cinici nel motivare le loro decisioni commerciali. Continuiamo a sentire che le nuove unità a carbone, come quella di Tuzla, rimpiazzeranno quelle più vecchie e inquinanti e che questo migliorerà la salute e l’ambiente. Non c’è niente di più lontano dalla realtà» ha spiegato Ioana Ciuta, della rete di organizzazioni ambientaliste CEE Bankwatch.

«Le centrali a carbone non inquinano solamente con i fumi che escono dai loro camini, ma anche attraverso l’espansione delle miniere a cielo aperto di lignite, attraverso l’inquinamento della falda acquifera e tramite le discariche di polveri e residui della produzione, pieni di sostanze tossiche. Tutto questo continuerà ad avvenire se saranno costruite nuove centrali. Non importa quanto nuova sarà la tecnologia installata» ha aggiunto la Ciuta.

Le centrali a carbone nei Balcani producono 20 volte più polveri e anidride solforosa degli impianti UE. FONTE: Chronic Coal Pollution.
Le centrali a carbone nei Balcani producono 20 volte più polveri e anidride solforosa degli impianti UE © Chronic Coal Pollution

Come possa Intesa Sanpaolo, la banca di sistema tricolore per antonomasia, che dice di essere in prima linea nelle donazioni per l’emergenza COVID-19 in Italia, far finta di ignorare tutto questo è sconcertante. Ancora di più pensando che in Italia l’utilizzo del carbone per la produzione elettrica finirà nel 2025 ed il carbone non è solo nemico del clima, ma oggi ancora di più è nemico della salute, alla quale, fino a prova contraria, abbiamo tutti diritto. E gli abitanti di Tuzla dimostrano di esserne ben consapevoli.


L’autrice è esponente di Re:Common, associazione impegnata in inchieste e campagne contro la corruzione e la distruzione dei territori in Italia, in Europa e nel mondo.