Quasi tutte le grandi banche non rispettano i principi delle Nazioni Unite sui diritti umani

Il rapporto di BankTrack ha valutato come cinquanta grandi banche non abbiano adempiuto alle loro responsabilità in materia di diritti umani

Le grandi banche non rispettano i diritti umani © Paul Fiedler/Unsplash

La maggior parte delle grandi banche non rispetta i diritti umani. Lo spiega il quinto rapporto Global Human Rights Benchmark di BankTrack, che ha valutato come le cinquanta più grandi banche non abbiano quasi per nulla adempiuto alle responsabilità delineate nei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Sono passati tredici anni da quando l’Onu approvò all’unanimità questi principi, e ancora oggi nessuna banca è pienamente conforme. Anzi, secondo il report, oltre due terzi degli istituti di credito presi in esame non raggiunge nemmeno la metà del punteggio necessario a ottemperare alle dovute responsabilità. A queste banche si imputa poi uno scarso o nullo impegno nell’affrontare i problemi relativi al rispetto dei diritti umani, nel proteggere i gruppi più vulnerabili e nel sostenere le comunità più colpite.

Anche Unicredit e Intesa Sanpaolo in piena zona retrocessione

Il report, che analizza appunto cinquanta tra i maggiori istituti di credito globali, individua quindici criteri in quattro diverse categorie: linea di condotta, processi di due diligence sui diritti umani, segnalazioni e predisposizione a rimediare. Quindi, in base al rispetto o meno di questi criteri, assegna un punteggio da uno a quindici alle banche. E il risultato è sconfortante. Nessuna ottiene quindici punti. Le migliori addirittura – l’olandese Abn Amro e la giapponese Mizuho – arrivano a un risicato undici. Mentre solo una dozzina, tra cui si segnalano tre australiane, una giapponese e solo una americana, veleggia nella seconda categoria, tra i sette punti e mezzo e i dieci.

La maggior parte, una trentina, è in fondo alla classifica. In piena zona retrocessione tra i quattro e i sette punti. Tra queste ci sono la maggior parte dei colossi bancari di Europa, Canada e Stati Uniti. E anche le uniche due banche italiane prese in considerazione: Unicredit e Intesa Sanpaolo, rispettivamente con sette e sei punti. Ancora più giù, tra gli zero e i tre punti, ci sono le sette banche peggiori nel rispetto dei diritti umani. Quattro di queste sono cinesi: Bank of China, Agricultural Bank of China, China Construction Bank e Icbc. Una è indiana, la State Bank of India. Una francese, il Bpce Group. E una americana, JPMorgan Chase.

A parole tutte le banche rispettano i diritti umani, nei fatti nessuna

Nello specifico, il report racconta come la maggior parte delle banche (quarantadue su cinquanta) abbiano istituito una policy interna sul rispetto dei diritti umani. Ma poi evidentemente faticano a rispettare i loro stessi parametri. Se è vero che solo tredici divulgano informazioni sui possibili rischi, e solo diciassette spiegano cosa fanno per evitarli. E ben ventuno non hanno nemmeno risposto a BankTrack. Allo stesso modo in trenta assicurano di rispettare i diritti dei popoli indigeni, ma nessuno ha ancora stabilito una chiara procedura al riguardo. Così come tutte sono concordi nel ritenere la questione ambientale dirimente per i diritti umani. Ma solo in tre l’hanno inserita nei loro processi di due diligence.

«Dai risultati di questo report è chiaro che le banche sono ancora molto carenti nelle loro prestazioni in materia di diritti umani ed è chiaro che non mettono le persone e i loro diritti al centro dei loro processi di due diligence», spiega Giulia Barbos, attivista per i diritti umani e ricercatrice politica di BankTrack. «È veramente preoccupante la quasi totale mancanza di politiche per proteggere i gruppi vulnerabili, o anche solo i difensori dei diritti umani. Unita al crescente silenzio delle banche quando vengono sollevate preoccupazioni sui diritti umani per conto delle comunità colpite. Le banche devono cambiare atteggiamento con una certa urgenza se davvero vogliono colmare queste evidenti lacune».

Su banche e diritti umani «minimi progressi che restano insufficienti»

Una delle cose più preoccupanti che emergono dal report, infatti, è come quasi tutte le banche non riescano a dimostrare in che modo forniscono rimedi alle persone colpite dalle loro decisioni finanziarie. Solo quattro banche su cinquanta hanno ottenuto mezzo punto su questo nuovo criterio. Essendo state in grado di esporre almeno qualche esempio sulla loro capacità o possibilità di rimediare. Le altre nemmeno quello. In generale il punteggio medio ottenuto mostra un modesto miglioramento: 5,9 punti su 15 nel 2024 rispetto a 5,1 su 14 nel 2022. Rispetto alle sole due banche del 2022, oggi sono sei le banche che hanno sviluppato un meccanismo di accountability che soddisfa gli standard minimi di supporto nel processo di gestione dei reclami. Ma restano appunto sei su cinquanta. È evidente che non basta.

«Il rapporto di quest’anno evidenzia dei minimi progressi nella consapevolezza delle banche delle loro responsabilità delle loro politiche sui diritti umani. Tuttavia, il quadro che emerge dal rapporto mostra chiaramente anche che tali progressi rimangono insufficienti, soprattutto se consideriamo la disponibilità di risorse che questi attori chiave del mercato potrebbero mobilitare per diventare veri leader nella due diligence aziendale sui diritti umani e sull’ambiente», spiega infatti Chiara Macchi del Wageningen University Law Group e membro dell’Independent Academic Advisory Panel del rapporto. «Alla luce della recente direttiva sulla due diligence aziendale sulla sostenibilità che vincola anche, seppur con alcune limitazioni, il settore finanziario, è giusto aspettarsi molto di più dalle banche, che possono usare la loro influenza per apportare cambiamenti positivi nella società».