Banche e speculazione: nuova picconata di Trump al piano Obama

La Fed allenta le regole anti speculazione per le grandi banche USA. Un altro passo sulla via del ritorno alla temibile deregulation finanziaria

Matteo Cavallito
© Pete Souza/White House
Matteo Cavallito
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Libertà di speculazione? Salvo dietrofront clamorosi, per le grandi banche americane il sogno si tramuterà presto in realtà. Lo suggerisce l’attuale clima politico. E lo conferma, ancora una volta, la sempre più dirompente ondata di deregolamentazione che ne deriva. L’ultimo indizio si è palesato ieri quando la Federal Reserve ha reso noti i dettagli di massima di una proposta regolamentare per alleggerire il peso della Volcker Rule, la principale norma del Dodd Frank Act – la maxi legge di regolamentazione dei mercati finanziari USA voluta da Obama – che disciplina il trading ad alto rischio a Wall Street e dintorni.

L’uscita pubblica della Fed non dovrebbe rappresentare un caso isolato. A breve, scrive il New York Times, altre agenzie regolamentari – l’Office of the Comptroller of the Currency (OCC), la Securities and Exchange Commission (SEC), la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) e la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) – dovrebbero accodarsi con le loro proposte. L’iniziativa aprirebbe la strada al consueto bimestre di dibattito pubblico che precede la stesura della norma.

“Regole più snelle” al posto della Volcker rule

Battezzata a partire dal suo promotore, l’ex numero uno della Fed (1979-1987) Paul Volcker, la norma della discordia vieta il proprietary trading, ovvero la possibilità delle banche di utilizzare i capitali dei risparmiatori per investire in prodotti (come i derivati) o in veicoli (come i fondi hedge) ad alto tasso di rischio.

La Volcker Rule, in altre parole, è stata pensata con l’obiettivo di restaurare la regola generale del passato, che distingueva in modo netto le attività di retail dall’investment banking.

Una separazione sancita nel lontano 1933 dal Glass-Steagall Act e abolita nel 1999 dall’amministrazione Clinton. Proprio questa scelta, dicono i critici, avrebbe aperto la strada alle operazioni di speculazione – a partire da quelle sulle cartolarizzazioni dei mutui (Asset-backed securities e così via) – all’origine della grande crisi globale del 2007-08.

Wall Street. Foto: Gary Wikimedia Commons

Le nuove norme proposte dalla Fed non conducono all’abolizione della Volcker ma ne plasmano una versione edulcorata. “Il nostro obiettivo è quello di sostituire i requisiti eccessivamente complessi e inefficienti con una serie di regole più snelle“, ha dichiarato il presidente della Fed Jerome Powell delineando i principali cambiamenti proposti.

Allo stato attuale della legge, le banche sono tenute a garantire la compatibilità regolamentare delle transazioni condotte con i depositi della clientela dimostrando di volta in volta la loro natura di operazioni di copertura e non di mera speculazione. La riforma della Volcker, in particolare, trasferisce l’onere del controllo ai regolatori. Agli istituti di credito viene quindi imposto di attuare alcune semplici (e meno impegnative) verifiche interne.

La demolizione del Dodd Frank

La probabile modifica della norma rappresenta una tappa ulteriore nel processo di smantellamento del Dodd Frank avviato dalla Casa Bianca. Il precedente colpo di piccone era stato sferrato appena la settimana scorsa. Il Congresso Usa aveva approvato la legge già votata in precedenza dal Senato che esonera le banche di piccola e media dimensione dal rispetto delle regole imposte dalla normativa approvata nel 2010.

L’assist alle grandi banche chiude idealmente il cerchio rendendo più semplice la speculazione sul mercato dei derivati, dove l’esposizione dei maggiori istituti americani, per altro, appare ancora significativa.

II derivati in mano alle banche americane (nozionale). Fonte: Office of the Comptroller of the Currency, “Quarterly Report on Bank Trading and Derivatives Activities”, dati al 31 dicembre 2017.

Derivati in mano a cinque banche

Alla fine del 2017, evidenzia l’ultimo rapporto dell’Office of the Comptroller of the Currency, il principale ente di supervisione del settore bancario americano, gli istituti Usa avevano in portafoglio un nozionale di titoli derivati pari a 172 mila miliardi di dollari.

Le prime cinque banche – JP Morgan, Citibank, Goldman Sachs, Bank of America e Wells Fargo – controllano da sole il 94% del totale: 161,3 trilioni di dollari.

Il dato – decisamente inferiore al primato storico – non rappresenta di per sé una misura del rischio (il nozionale è una cifra teorica che implica, in caso di contingenze negative, perdite potenziali in un ordine di grandezza tipicamente millesimale) ma rende l’idea dell’ampiezza dell’attività speculativa. Alla fine del primo trimestre 2007, all’alba della crisi finanziaria, il nozionale gestito dalle Top 5 di allora (JP Morgan, Citi, Bank of America, HSBC e Wachovia) segnava 140,5 trilioni di dollari. Il 13% in meno rispetto al dato attuale.