Le banche italiane che fanno affari nella Russia di Putin

Mentre l'Ucraina è in piena guerra e si valutano sanzioni contro Mosca, quali gruppi bancari italiani ed europei sono più esposti in Russia?

La torre di Unicredit a Milano © Gaetano Virgallito/Flickr

L’annessione della Crimea, nel 2014, aveva provocato una diminuzione generalizzata delle transazioni finanziarie con la Russia. La maggioranza degli istituti di credito, a livello globale, avevano infatti voltato le spalle a Mosca. Non tutti però. C’è chi sembra infatti aver non solo mantenuto gli affari nella nazione euro-asiatica ma abbia anzi approfittato della situazione per guadagnare quote di mercato.

Le scelte di Unicredit, Intesa Sanpaolo, SocGen e Raiffeisen Bank

Di particolare interesse, in questo senso, i casi delle italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo, di Société Générale in Francia e di Raiffeisen Bank in Austria. Grazie a rendimenti elevati, legati ai rischi non indifferenti, negli ultimi otto anni Italia e Austria hanno aumentato i loro scambi finanziari con la Russia. E le banche francesi, nonostante abbiano ridotto la loro attività di circa la metà, mantengono ancora una presenza significativa in Russia.

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Il presidente russo Vladimir Putin © Kremlin.ru

Durante il terzo trimestre 2021 (dati della BRI – Banca dei regolamenti internazionali), l’esposizione complessiva dei gruppi bancari dell’eurozona risultava di circa 85 miliardi di dollari. Cifra che, rispetto ai 14 miliardi di dollari dei gruppi statunitensi, risulta sei volte maggiore. Il totale, per quanto riguarda gli istituti italiani e francesi, a fine settembre dello scorso anno era di circa 25 miliardi per ciascun Paese. Per quelli austriaci era invece di 17,5 miliardi.

Crediti ad aziende e privati, assieme ad operazioni legate alle commodities

Nello specifico, i 25 miliardi italiani sono costituiti da crediti verso aziende e gruppi russi. Poi da tutta una serie di operazioni con Mosca legate al commercio di materie prime. E infine da prestiti a clienti privati.   

Ma qual è l’esposizione reale? Si tratta di percentuali non gigantesche, rispetto al totale delle attività. Attorno al 3-4% nei casi di Société Générale e Unicredit, più alta (circa il 10%) Raiffeisen. L’analisi per ciascun Paese indica che il settore bancario austriaco è quello più esposto, con l’1,4% delle attività totali, contro lo 0,5% italiano e lo 0,2% francese.

All’Italia, però, spetta qualche “primato”. Secondo quanto dichiarato al quotidiano La Stampa da un portavoce dell’istituto torinese, Intesa Sanpaolo presenta 5,5 miliardi di esposizione in termini di impieghi. Ai quali si aggiunge un rischio sovrano per 50 milioni di euro, mentre sono circa mille i dipendenti e 28 gli sportelli sul territorio russo. Più alta l’esposizione di Unicredit, con circa 13 miliardi di euro.

I numeri di Unicredit Bank Russia

La controllata russa dell’istituto milanese, la Unicredit Bank Russia, presenta buone performance. La rete conta 72 sportelli, più di 4.000 dipendenti ed un’esposizione al debito sovrano di circa un miliardo. Nel 2021 ha realizzato nel Paese utili per 180 milioni, con una crescita del 48,5% rispetto al 2020. Unicredit ha generato il 3% dei suoi ricavi in Russia, ma ci tiene anche a specificare che tutte le sue esposizioni, nonostante il clima di incertezza, presentano un elevato grado di copertura.

Negli scorsi mesi si era parlato anche di un’acquisizione da parte di Unicredit di una banca statale russa, la Otkritie ottava del Paese per asset. Ma poi il crescente clima di tensione a livello internazionale ha congelato l’affare.

Ci sono state dichiarazioni da parte di entrambi i portavoce dei gruppi italiani risalenti a fine gennaio, momento in cui le forze russe erano già schierate sul confine. Lasciavano intendere la volontà degli istituti di continuare ad essere attivi in Russia e pronti ad adattarsi alle sanzioni che sarebbero state varate. Per gli analisti, invece, se l’impatto della crisi fosse più ampio, ci sarebbe preoccupazione per l’effetto che avrebbe sui mercati finanziari.

Le sanzioni occidentali colpiscono anche alcune banche russe

Come prima risposta agli attacchi militari, Washington ha tagliato fuori dai mercati occidentali il governo russo con la Banca centrale e i fondi sovrani russi. Anche la Vnesheconombank, considerata il “salvadanaio” del Cremlino, e la Promsvyazbank, “fondamentale per il settore della difesa”.

Davanti all’escalation in Ucraina le banche occidentali dovranno garantire che le sanzioni siano applicate rigorosamente a tutte le controparti con le quali intrattengono rapporti commerciali. Ma tali misure non rappresentano, in assoluto, una novità. Finora gli istituti finanziari si sono adattati al contesto, tutelandosi tramite clausole nei loro contatti in previsione di possibili inasprimenti delle sanzioni stesse. Ma ora, con i recenti sviluppi bellici, queste realtà sono sempre più esposte a potenziali ritorsioni economiche contro il regime di Putin.

La Banca centrale europea ha intensificato in questi giorni la sua azione di stress test nei confronti degli istituti di credito più esposti. Ha ritenuto necessario, in particolare, valutare ogni aspetto delle banche che supervisiona: dalla liquidità, ai prestiti, agli asset in possesso. A preoccupare maggiormente la Bce sarebbero le interconnessioni fra le banche dell’eurozona ed alcune realtà russe di grosso spessore.

Il tonfo in Borsa delle banche esposte

L’istituto di analisi Oxford Economics, d’altra parte, aveva anticipato che le banche sarebbero andate incontro ad una forte volatilità. Nonostante non abbia varato ipotesi di scenari con perdite consistenti e prolungate, la giornata del 24 febbraio che ha segnato l’inizio dell’offensiva militare da parte delle forze Russe, ha anche registrato il ribasso dei titoli bancari in tutta Europa.

Mentre i titoli austriaci Raiffeisen hanno subito perdite di oltre il 16%. A Piazza Affari, Unicredit ha registrato un -13,4% ed Intesa San Paolo -7,95%, (alle 22 del giorno stesso). Adam Szubin, ex direttore del Foreign Assets Control Service americano, ha spiegato in questo senso: «Stiamo entrando in un territorio inesplorato». Il livello dei flussi finanziari considerato non ha nulla a che vedere quello dei Paesi a cui sono state applicate sanzioni o embargo in precedenza. Come Iran, Corea del Nord, Cuba o Sudan. La Russia, d’altra parte, è una delle 20 maggiori economie del mondo.


Aggiornamento 28 febbraio – In una versione precedente di questo articolo i dati sull’esposizione di Intesa Sanpaolo erano erroneamente attribuiti all’Autorità Bancaria Europea (EBA). Si tratta invece di dati comunicati da un portavoce dell’istituto torinese al quotidiano La Stampa.