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Banche spagnole: la quiete dopo la tempesta

di Matteo Cavallito per Finanza per indignati, supplemento a Valori dicembre 2014 L’Europa promuove lo status patrimoniale delle banche spagnole. Un risultato lusinghiero, figlio del ...

di Matteo Cavallito per Finanza per indignati, supplemento a Valori dicembre 2014
L’Europa promuove lo status patrimoniale delle banche spagnole. Un risultato lusinghiero, figlio del maxi intervento di ristrutturazione realizzato dopo lo scoppio della bolla immobiliare.
Zero euro. È il risultato perfetto, centrato dalle principali banche spagnole in occasione dell’ultimo esame europeo sull’eventuale carenza di capitale. Lo certificano gli stress test della Bce che ad ottobre hanno promosso senza riserva i 15 istituti del Paese analizzati nell’occasione. Un successo, insomma, in un sistema bancario continentale tuttora soggetto a criticità (13 le banche bocciate nella Ue), nonché un motivo d’orgoglio per Madrid, protagonista nel corso degli ultimi anni di un processo di ristrutturazione doloroso quanto necessario per il superamento della colossale crisi sistemica.
DALLA BOLLA IMMOBILIARE…
Una crisi, come noto, scatenata dalla proliferazione degli asset tossici del mercato immobiliare, ovvero dei titoli e dei prestiti diretti bruciati dalla spirale ribassista (default, pignoramenti, svalutazioni delle garanzie, crollo dei prezzi) di un comparto su cui lo stesso sistema bancario aveva scommesso incautamente per anni, se è vero – come notava la Reuters – che alla fine del 2008 il controvalore dei prestiti circolanti nel settore costruzioni aveva ormai raggiunto i 300 miliardi di euro (quasi un terzo del Pil nazionale).
La recessione, che investe la Spagna a partire dal 2009, è il risultato, ma anche la concausa, del circolo vizioso innestatosi nel comparto real estate con effetti, numeri alla mano, semplicemente impressionanti. Nel 2007, notava lo scorso febbraio William Chislett, ricercatore presso il Real Instituto Elcano, un think tank economico di base a Madrid, il tasso di default sui debiti del settore immobiliare (operatori del settore e costruttori) si collocava allo 0,6%, come a dire 6 casi di insolvenza ogni 1.000 prestiti. Con lo scoppio della crisi si arriva a quota 25%. Tradotto: fallisce 1 su 4. Ma il problema, dicono i dati della World Bank, non resta confinato al solo settore immobiliare: l’incidenza dei crediti non performanti (non-performing loans, ovvero le attività non più in grado di ripagare capitale e interessi) sul totale dei prestiti passa dallo 0,7% pre-crisi al 4,1% registrato nel 2009.

Nei quattro anni successivi, evidenziano ancora i dati, il livello di incidenza raddoppia toccando quota 8,2 alla fine del 2013.
… AL SALVATAGGIO
È in questo contesto che matura il maxi piano di salvataggio orchestrato da Madrid con il sostegno (per 41,4 miliardi) dell’Unione europea. La prima operazione di soccorso – leggasi nazionalizzazione – risale al marzo 2009 quando i contribuenti si prendono carico diCCM, banca di risparmio troppo esposta sul fronte immobiliare e sepolta sotto il peso di un’ormai incolmabile carenza di capitale.
Ma il piano vero e proprio scatta circa tre mesi dopo con la creazione del Frob, il fondo pubblico istituito per scorporare gli asset tossici (costituendo una bad bank ad hoc) e sostenere il processo di aggregazione delle banche locali e regionali, le cosiddette cajas (“casse”) che, in quel momento, ammontano a 45 unità dotate di svariate filiali. La strategia, attraverso processi di fusione e acquisizione prevede la loro riduzione a un terzo del totale originario con l’obiettivo di incrementarne l’efficienza riducendo i costi eccessivi.
Nel giugno 2011 il Governo di Madrid modifica i poteri di intervento del Frob permettendo a quest’ultimo di fornire direttamente liquidità agli istituti per garantirne la ricapitalizzazione. A proseguire, nel frattempo, sono le operazioni di nazionalizzazione che porteranno sotto il controllo diretto del Frob banche come CAM, Nova Caixa Galicia, Catalunya Caixa, Unnim, Banco deValencia e, soprattutto, Bankia, nata dalla fusione tra Caja Madrid e altre sei banche più piccole.
Quotato in borsa nel luglio del 2011, rastrellando buona parte del capitale dai piccoli risparmiatori, l’istituto sarà nazionalizzato dieci mesi dopo tramite la conversione in azioni delle sue obbligazioni acquistati in precedenza dallo Stato per 4,5 miliardi di euro. Un’operazione, nota la Reuters, che nel migliore dei casi costerà agli investitori retail una perdita minima del 70% sul valore dei titoli acquistati.
IL FUTURO
A conti fatti, notano oggi gli osservatori, il salvataggio del sistema bancario è sembrato funzionare. «I processi di fusione delle banche spagnole sono stati intensi e persino dolorosi, ma hanno dato indubbiamente i loro frutti in termini di profittabilità», ha spiegato recentemente a Valori Silvia Merler, ex analista della Direzione Generale Affari Economici e Finanziari (EN) della Commissione Europea (ECFIN) e attualmente Affiliate Fellow presso il think tank economico Bruegel di Bruxelles. «Il risultato è che dal 2012 ad oggi la Spagna ha ridotto l’uso dei fondi della Banca centrale più velocemente e i suoi istituti hanno sperimentato un aumento del return on equity (ROE, il rapporto percentuale tra il reddito netto e il capitale proprio, in sostanza un indice di redditività, ndr) oltre a una riduzione significativa dei costi di finanziamento dei depositi retail».
Le banche italiane, per fare un paragone, «hanno avuto nello stesso periodo un ROE negativo e sostengono costi maggiori sui depositi rispetto alle omologhe spagnole». Le prospettive, in generale, sono buone. Ma sul definitivo buon esito dell’operazione peseranno va da sé le variabili macroeconomiche. Il Pil spagnolo, dicono le stime Eurostat, dovrebbe centrare una crescita dell’1,2% entro la fine di quest’anno accelerando ulteriormente nel biennio seguente.

La disoccupazione, tuttavia, resterà forse il principale problema del Paese. I più recenti dati Eurostat (settembre 2014) collocano il tasso dei senza lavoro a quota 24% (2 punti percentuali in meno rispetto a dodici mesi prima), il livello più alto della Ue, Grecia esclusa. Il tasso medio registrato nell’Eurozona si ferma all’11,5%.
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