«L’eccessiva finanziarizzazione è un fallimento del progetto europeo»

La crisi ecologica e sociale in corso si deve anche alla privatizzazione smodata. Lo sostiene l’economista e sacerdote francese Gaël Giraud

L'economista francese Gaël Giraud

Molecole, sementi, canzoni, software. Ma anche acqua, dati, saperi tradizionali. Nel nostro sistema economico, tutto – o quasi – può essere privatizzato. Un modello che ci è stato raccontato come il migliore possibile, ma sconta un macroscopico difetto: non conteggia le esternalità negative. Il privato incassa i profitti del petrolio, l’umanità ne paga il prezzo perché le emissioni in atmosfera contribuiscono alla crisi climatica. Il privato incassa i profitti della sanità a pagamento, la collettività ne paga il prezzo perché chi non se la può permettere rinuncia a curarsi e va incontro a patologie croniche e invalidanti. La policrisi in cui siamo immersi è evidente. E sì, l’estendersi smodato della proprietà privata ha un peso.

Ne è convinto l’economista francese Gaël Giraud, sacerdote, gesuita, direttore di ricerca al Centro nazionale di ricerca scientifica di Parigi e membro del Jesuit European Social Center di Bruxelles presso le istituzioni europee. Il suo ultimo libro-manifesto – edito in Italia da Mondadori – si occupa proprio di questo, e lo fa con un titolo inequivocabile: “Costruire un mondo comune. E Dio NON benedisse la proprietà privata” (con prefazione di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food). Abbiamo incontrato Gaël Giraud alla Fondazione Feltrinelli di Milano, dov’era protagonista del terzo appuntamento delle Salvatore Veca Lectures. Lo abbiamo intervistato.

Citando anche gli studi del premio Nobel per l’Economia Elinor Ostrom, lei sostiene che l’antidoto alla “privatizzazione del mondo” sia l’introduzione della categoria dei beni comuni. Cosa sono, chi dovrebbe gestirli e con quali regole? 

I beni comuni sono una alternativa all’opposizione tra il pubblico e il privato. Pensiamo per esempio a una comunità che investe denaro per installare pannelli fotovoltaici, produce energia pulita e la condivide: questo è un esempio reale, perché esistono molte comunità energetiche – anche in Italia – che gestiscono l’energia come un bene comune. Ma anche foreste, laghi, fiumi possono essere beni comuni. O anche la salute. Un esempio è la Drugs for Neglected Diseases initiative (Dndi), una piattaforma internazionale nella quale il settore pubblico (gli Stati sovrani), quello privato (Big Pharma) e la società civile cooperano per curare la salute come bene comune. Questo fa miracoli, per esempio una terapia contro l’epatite C efficace, resa disponibile a 300 dollari alla settimana nei Paesi partner, contro il costo di circa 2mila euro alla settimana delle terapie tradizionali in Italia. Ma per la gestione dei beni comuni servono istituzioni specifiche, nazionali e sovranazionali.

Restando sul piano degli strumenti, esistono già adesso dei meccanismi che cercano di dare un valore monetario a un bene comune come la natura, i debt for climate swap o debt for nature swap. Sono esperimenti validi?

Secondo me sono gli strumenti più importanti per ridurre il debito pubblico dei Paesi in difficoltà e allo stesso tempo finanziare progetti ecologici molto interessanti a livello concreto. Oggi per esempio il governo del Camerun e quello del Sudafrica stanno lavorando in questa direzione. In tutto, sono una ventina i Paesi del mondo che chiedono di attivare questo tipo di strumento. Credo che questa sia una parte della soluzione per un finanziamento ecologico.

Di beni comuni si occupa l’economia sociale, che nell’Unione europea conta oltre 4 milioni di imprese e organizzazioni, con 11 milioni di dipendenti e un fatturato di quasi mille miliardi di euro nel 2021. Eppure, dal primo maggio è stata sciolta l’Unità responsabile dell’economia sociale e dell’imprenditoria presso Dg Grow, la Direzione generale europea per l’industria. Perché le istituzioni europee sembrano non capire il valore dell’economia sociale?

L’Europa oggi è molto finanziarizzata, i mercati finanziari vengono ritenuti al di sopra di tutto il resto. Questo secondo me è un fallimento del progetto europeo. Dovremmo regolamentare i mercati finanziari e circoscrivere il loro ruolo. Se facciamo questo, diventa possibile aprire uno spazio per l’economia sociale a livello europeo. Ma con la finanziarizzazione della società questo diventa molto difficile. 

Sempre a proposito di immobilismo delle istituzioni, lei ha dichiarato che la politica ci mette troppo tempo a mettere in campo soluzioni concrete per questioni urgenti (ad esempio la crisi climatica), quindi la società civile dev’essere la vera protagonista. A chi pensa che sia un’utopia, quali esempi concreti porterebbe per dimostrare che la mobilitazione dal basso può cambiare le cose?

Un esempio è il Sardex, la moneta alternativa della Sardegna, che ha raggiunto un volume di transazioni di un miliardo di euro l’anno. Ciò significa che il Sardex, nato come iniziativa completamente locale e territoriale, è un fenomeno economico importante in Europa. Ci sono più di cento monete alternative in Francia, Italia, Spagna eccetera. Come facciamo per sviluppare questa iniziativa all’interno delle istituzioni pubbliche europee? Serve per esempio che un sindaco permetta di pagare una parte dei salari dei funzionari territoriali con questa moneta, o di pagare una tassa territoriale. Così facendo, la moneta entra in circolazione. Alcune municipalità in Francia lo hanno già fatto.

Questa è la dimostrazione che è possibile trasformare un’iniziativa piccola, timida, in un’iniziativa che ha un impatto enorme sull’economia di una municipalità, e poi passa al dipartimento, o alla regione e così via. Questo mi rende molto ottimista, perché significa che è possibile passare su una scala superiore. Però la società civile deve iniziare, perché la classe politica oggi è molto debole.

1 Commento

  • G

    Giorgia Cattelani

    Grazie per questo articolo incoraggiante ed ottimista. Questo è ciò che "altri" dovrebbero divulgare. Cercherò il libro e lo leggerò. Buona serata 🪄✨

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