Beni confiscati alla mafia e trasparenza. Ecco il nuovo rapporto di Libera

I dati del 2023 mostrano che ancora molti comuni non passano l’esame della trasparenza. Ma l'incremento è significativo e lascia ben sperare

Il 21 marzo è la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie © Tommi Boom/Flickr

È stato presentato mercoledì 17 aprile a Roma il terzo rapporto di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie sulla trasparenza dei beni confiscati alla mafia. Il titolo, “RimanDATI”, è evocativo di una situazione che fino all’anno scorso era largamente insufficiente: appena il 36% dei Comuni destinatari di beni confiscati (392 su 1073) pubblicava l’elenco online. I dati del 2023 mostrano che ancora molti Comuni non passano l’esame della trasparenza. Ma l’incremento è significativo e lascia ben sperare.

Beni confiscati e trasparenza: un salto in avanti

Nel rapporto di quest’anno, per la prima volta, i Comuni che pubblicano l’elenco dei beni confiscati sul proprio sito sono più di sei su dieci. Per la precisione, 724 su 1.100. Con un incremento più che marcato (+78%) rispetto al 2022. Anche – e soprattutto – grazie al lavoro di Libera e dei suoi volontari. Che non solo ne hanno monitorato la pubblicazione, ma ne hanno anche avanzato la richiesta ai Comuni inadempienti.

La pubblicazione dell’elenco (con tutta una serie di informazioni come la destinazione, l’ubicazione e l’utilizzazione die beni), infatti, è prevista dalla legge. Nello specifico, è il Codice Antimafia del 2011 a prevedere che gli enti territoriali formino «un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti» che deve essere «reso pubblico nel sito internet istituzionale dell’ente».  

Perché, come sostiene Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera, «la trasparenza deve essere considerata anch’essa un bene comune». Ed è qui che, come spiega Giannone, entra in gioco il rapporto di Libera: «RimanDATI è uno strumento per attivare rapporti con il mondo degli enti territoriali di prossimità, che sono ingranaggio fondamentale dell’intera filiera della confisca e del riutilizzo, e per far crescere in modo esponenziale le storie di rigenerazione intorno ai beni confiscati, preservando lo strumento della confisca nel suo senso risarcitorio più profondo». Anche se, purtroppo, la gestione dei beni non è sempre così semplice.

Al Sud meno trasparenza. Ma anche più beni confiscati da gestire

Dei Comuni che mancano all’appello, più di 240 sono al Sud e nelle isole. Ma bisogna considerare che è proprio qui che si concentrano più della metà dei Comuni destinatari (il 57%). E anche la maggior parte dei beni confiscati (più dell’80%). Al Centro e al Nord, infatti, se ne trovano poco meno di tremila su 13mila, distribuiti in 476 Comuni. La maggior parte dei quali gestiscono da uno a tre beni confiscati. Nel Mezzogiorno, invece, un centinaio di Comuni si trova a gestire più di trenta beni confiscati, e altri 143 da 11 a 30 beni. In generale, «nel Centro-Nord la presenza di beni confiscati sembra essere associata agli investimenti mafiosi in contesti più economicamente avanzati; nel Mezzogiorno la concentrazione dei beni è maggiore nei territori più svantaggiati e sembra essere associata al controllo del territorio da parte delle organizzazioni mafiose, più che agli investimenti economici criminali», si legge nel rapporto.

Le Regioni “più trasparenti”, ovvero in cui più del 70% dei Comuni pubblica l’elenco, sono Liguria (ben l’87,5%), seguita da Emilia-Romagna, Puglia e Piemonte. In Basilicata, Calabria, Lazio e Molise, invece, meno del 50%. Ma, rispetto all’anno precedente, i dati sono migliorati per tutti le Regioni. Purtroppo, però, tra gli enti territoriali sovra-comunali destinatari di beni confiscati, risultano inadempienti ancora tre province (quelle di Crotone, Matera e Messina). E anche due Regioni (Calabria e Lazio).

Non solo dati: proposte, impegni e focus (sul PNRR)

Il rapporto presenta anche una serie di proposte (frutto anche del percorso “Raccontiamo il bene“) per garantire trasparenza e consapevolezza sempre maggiori. Si va dalla necessità di attivare alleanze strategiche con gli enti locali valorizzando le esperienze positive, al consolidamento di pratiche di governo aperto volte a garantire trasparenza in tutta la fase di gestione dei beni confiscati. Importante è anche il ruolo che gli enti locali devono avere nel valorizzare e tutelare questi beni e nel sensibilizzare la cittadinanza sul valore e l’opportunità che rappresentano. Ma anche nel monitorare costantemente l’utilizzo del bene e il suo impatto, anche dopo l’assegnazione.

Infine, il rapporto contiene anche un focus sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e le misure (e i soldi) previsti per i beni confiscati. Infatti, inizialmente, il PNRR prevedeva ben 300 milioni di euro destinati alla realizzazione di più di 200 progetti in otto Regioni del Sud. Uno stanziamento ingente. Su cui, però, non mancano le criticità. Se inizialmente il problema sembrava essere la mancanza di misure specifiche per le altre Regioni – e soprattutto – di un «coinvolgimento strutturale del Terzo Settore nella definizione dei progetti», oggi il problema è burocratico ed economico. Infatti, dopo la pubblicazione della graduatoria definitiva già a marzo 2023, con cui venivano selezionati 254 progetti in 166 enti destinatari di beni confiscati, a luglio del 2023 lo stanziamento sparisce dal PNRR, vittima della famosa revisione del piano portato avanti dal governo Meloni. Con la promessa che i fondi sarebbero stati trovati da un’altra parte. Ad oggi, le incertezze sui fondi non sono ancora state risolte, e, come denuncia Libera, il rischio che un’occasione storica e straordinaria si trasformi in un’occasione persa è sempre più concreto.