Il biologico italiano? In salute, con molti “ma”
Vendite di bio cresciute anche nel 2020, persino stimolate dalla pandemia di coronavirus. Ma il divario decennale di risultati tra Gdo e piccoli negozi è impietoso
Il successo di vendite del biologico non è stato piegato nemmeno dalla crisi pandemica del coronavirus. Anzi. Il comparto, alimentare e non, ha continuato a crescere. E ha raggiunto valori assoluti davvero elevati. Il mercato interno vale, infatti, 4,3 miliardi di euro (6,9 miliardi se aggiungiamo l’export), registrando un incremento costante che ne ha sancito più di un raddoppio nei dieci anni appena trascorsi (+118%).
È l’ennesima conferma di questo trend positivo contenuta nell’ultimo rapporto Bio Bank. La ricerca non solo descrive il dettaglio dei risultati di business fino al 2019 di tutti i soggetti tradizionalmente monitorati (grande distribuzione, negozi specializzati e ristorazione bio), ma include le rilevazioni dell’osservatorio di Nomisma, con le stime del 2020 appena trascorso.
Biologico nella pandemia: scelta consapevole che protegge e rassicura
Tutto ciò consente di scattare un sorta di “fotografia in movimento” che darà soddisfazione anche alle organizzazioni rappresentative del comparto produttivo e di trasformazione (Aiab, Federbio, Assobio).
Ma c’è di più. A seguito della pandemia il 48% degli italiani pensa che adotterà uno stile di vita più sostenibile e il 39% si ripromette di aumentare l’acquisto di prodotti bio nel 2021 (fonte Nomisma). L’analisi compiuta nell’anno appena trascorso, particolarissimo e drammatico, racconta quindi anche di una scelta di consumo che viene rafforzata proprio in certe fasi critiche.
Lo sostiene fortemente Rosa Maria Bertino di Bio Bank: «Già nel primo semestre della pandemia Nielsen aveva diffuso dati su un aumento delle vendite dei prodotti bio dell’11%. Vuol dire che qualsiasi minaccia sentita per sé e per il proprio fisico fa scattare l’aumento di vendita di prodotti catalogati come salutistici e orientati al proprio benessere. Questo effetto avviene ogni volta che c’è uno scandalo alimentare. E si è verificato anche questa volta con la pandemia. Ovviamente il bio, come solidità di settore, non si sostiene grazie a questi picchi. Ma questi picchi rappresentano una cartina al tornasole che il biologico è percepito come un prodotto che fa bene. E quindi, se ci si sente a rischio, viene cercato ancor più di quanto già non accadesse».
Boom Gdo, disastro ristorazione
A fronte di ciò, tuttavia, c’è la tradizionale seconda – e peggiore – faccia della medaglia, che non può essere trascurata. E solo in parte è compensata dal moltiplicarsi dei servizi di consegna a domicilio, dall’attivismo dei Gas (Gruppi d’acquisto solidale), dai siti aggregatori di produttori, che nel 2020 hanno registrato un +10% di vendite (836 milioni di euro, pari al 22% del mercato domestico). C’è infatti da considerare il disastro della ristorazione (incluse le mense), pagato nell’anno appena trascorso a causa delle chiusure forzate per la pandemia. E poi c’è una dinamica comunque non positiva che nel Focus Bio Bank sugli esercizi specializzati si “nasconde” dietro la tendenza all’aggregazione.
Soffrono piccoli negozi e catene
Mentre il biologico nei supermercati (cioè la grande distribuzione organizzata o gdo) fa passi da gigante (+20% nella quota del mercato tra 2011 e 2020), i cosiddetti “altri canali” soffrono (-20%). Certo – si insiste nel ricordare – l’incremento dell’uno non è causa direttamente connessa al ridotto incremento dell’altro. Né la tipologia di clientela e di consumo è la medesima. Però il dato di fatto rimane. «A gettare la spugna – scrive Bio Bank – sono soprattutto i piccoli negozi che hanno fatto la storia del biologico, mentre crescono quelli con superfici oltre i 150 metri quadrati».
Non solo. Stando al campione Bio Bank, i negozi specializzati hanno registrato nel 2020 vendite stimate per 924 milioni di euro, con un +8% sull’anno precedente. Ma, guardando al decennio, il dato si ferma a +3%, denunciando una sostanziale stagnazione. E «se tu sei fermo in un settore che cresce significa che stai arretrando», precisa Rosa Maria Bertino. Così, mentre rallenta il ritmo delle chiusure, per fortuna, il turnover delle attività resta elevato.
E c’è un altro segnale che non sembra “dire bene” al bio fuori dalla gdo. «Nel 2019 i negozi legati alle catene scendono per la prima volta dal 2011 attestandosi al 42%, in gran parte per la razionalizzazione in atto nelle reti Cuorebio e NaturaSì e l’acquisizione di Biobottega e Piacere Terra, passati a NaturaSì».
Serve una politica alleata del bio
E i produttori cosa pensano dopo l’annus horribilis? Innanzitutto aspettano – da due anni – l’approvazione della legge nazionale sull’agricoltura biologica. E, mentre guardano con speranza ai provvedimenti d’indirizzo europei (Green New Deal e strategie Farm to fork e Biodiversità), chiedono alla prossima Politica agricola comune (la nuova Pac prevista per il 2023) di sposare definitivamente l’agroecologia.
Perché, nonostante l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab) sottolinei la «rimonta della filiera corta» sulla Gdo, il presidente Antonio Corbari ricorda che la crescita decennale e del 2020 «non può essere trainata dai soli consumatori. Deve trovare nella politica un’adesione convinta». L’appello è a investire fondi su una ricerca indipendente e a dibattere di questi temi nell’elaborazione del Piano strategico nazionale. Che invece «segna il passo nonostante le recenti sollecitazioni della Commissione Ue a costruire una “architettura verde” basata sugli eco-schemi».
E c’è anche chi, come Maria Grazia Mammuccini di Federbio, ricorda che la lettura dei dati, per quanto riguarda i produttori, svela buone prospettive future, ma anche un quadro articolato e non sempre positivo. «Se alcune aziende bio non hanno avuto problemi durante l’emergenza sanitaria organizzandosi, anche attraverso le vendite on line, altre sono state fortemente penalizzate. Mi riferisco in particolare ai produttori che hanno come canale di vendita i mercati agricoli locali, chiusi durante il lockdown, a quelli che si rivolgono alle mense scolastiche o che si occupano dell’accoglienza e valorizzazione del territorio».