La pista di bob è l’ennesimo orrore di Milano-Cortina 2026
Partiti all’improvviso i cantieri con l’abbattimento di cinquecento larici secolari. Per un impianto che rischia di non vedere mai la luce
Uno al minuto. Nel giro di qualche ora a Cortina, su un area di poco più di due ettari di terreno, sono stati abbattuti quasi cinquecento larici. La maggior parte alberi secolari. Il tutto per far posto all’impianto sportivo che ospiterà le gare di bob, skeleton e slittino per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. O meglio, il tutto per fare posto all’ennesimo scempio economico, sociale e ambientale.
Perché non è assolutamente detto che l’impianto sarà pronto per l’inizio dei Giochi. Anzi, con tutta probabilità non lo sarà. E soprattutto non è detto che il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) che aveva chiesto – per non dire preteso – che le gare di bob fossero ospitate all’estero, approvi l’impianto.
La sequenza temporale di questo disastro è allucinante. Dopo anni di incertezze, rimpalli, cambi di sede e cambi di idee, sempre che ce ne sia stata una, all’inizio di febbraio una trionfante nota diffusa dal ministero dei Trasporti annuncia l’accordo tra Simico spa (la Società Infrastrutture Milano Cortina 2020 – 2026) e l’impresa edile Pizzarotti per la costruzione della pista da bob.
La sequenza temporale della distruzione
Photo opportunity per i ministri Matteo Salvini (infrastrutture) e Andrea Abodi (sport). Salti di gioia per Luca Zaia, governatore del Veneto, in piena polemica politica sul terzo mandato per i governatori a pochi mesi dalle elezioni regionali. Spesa prevista di 124 milioni di euro, a salire. Spese di manutenzione, se mai l’opera sarà finita, di oltre 1 milione all’anno. Costi ambientali, altissimi. Basti pensare, oltre al disboscamento e alle colate di cemento, alle decine di tonnellate di ammoniaca necessarie per la refrigerazione e il funzionamento.
Tre settimane dopo – e non per caso proprio il giorno dell’ispezione dei delegati del Cio agli impianti italiani in tragico ritardo – ecco che il cantiere improvvisamente comincia a lavorare. Alla presenza di Giovanni Malagò, boss del Coni (Comitato Olimpico Italiano) nonché presidente della Fondazione Milano-Cortina, di Andrea Varnier, amministratore delegato della Fondazione, e dei vertici Simico. Tutti vestiti a festa.
E in un attimo ecco rombare le motoseghe della LGB Forestal Service Srls di Luca Ghedina, vincitore dell’appalto e per puro caso fratello dell’ex azzurro di sci Kristian Ghedina. Motoseghe che rombano per abbattere i larici secolari. Altro che photo opportunity. Miglior immagine per raccontare lo scempio di Milano-Cortina 2026. E di tutte le altre Olimpiadi non potrebbe infatti esserci. Questa immagine un giorno diventerà un simbolo, e dovrà tormentare per sempre gli autori di questa assurdità.
Lo sport come annientamento
Perché oramai il “delitto” è commesso. Gli abitanti della zona, i movimenti e gli ambientalisti stanno protestando. E continueranno a farlo. La procura della Repubblica di Belluno ha aperto un fascicolo d’indagine contro ignoti, per verificare i contenuti di un esposto di Italia Nostra sulla demolizione della vecchia pista olimpica. Ma se anche i lavori venissero bloccati, il Cio non desse il via libera e la pista non fosse completata, cosa assai probabile, oramai il dado è tratto.
Gli appalti sono stati firmati, i primi bonifici sono stati effettuati. Le foto sono state scattate e gli alberi sono stati abbattuti. Il governo italiano e il Coni hanno finalmente rivelato a cosa serve per loro la pratica sportiva: a fare soldi. In nome del profitto, a loro dei costi umani, sociali e ambientali di Milano-Cortina 2026 non frega evidentemente assolutamente nulla.
Ma non è finita qui. Prima abbiamo forse scritto di demolizione di una vecchia pista olimpica di bob? Certo, perché a Cortina c’era già una pista di bob, intitolata al bobbista Eugenio Monti e… chiusa nel 2008, perché troppo onerosa da mantenere! E c’era una pista di bob anche a Cesana, in Piemonte, costruita per le Olimpiadi di Torino 2006, al modico costo di oltre 110 milioni e… abbandonata nel 2011, perché troppo onerosa da mantenere…
Due ferite di cemento che ancora insanguinano le montagne, due mostri che urlano di dolore. Due scheletri che sono lì a ricordare come nel tardo capitalismo sport non significhi salute, ma solo annientamento e distruzione. E date le minime probabilità di apertura dell’impianto, ecco il peggio: la terza ferita è stata inferta solo per diletto. E per guadagnare due spiccioli.