E se eliminassimo i brevetti sui vaccini?
Ogni settimana il commento di Marta Fana su lavoro, disuguaglianze, diritti
Fin dall’annuncio della campagna vaccinazioni contro il Covid-19, avvenuto appena un mese fa, le attenzioni sono state rivolte, o per meglio dire indirizzate, alla capacità/incapacità dello Stato di vaccinare e, per non farci mancare nulla, al design dei luoghi in cui le vaccinazioni avrebbero dovuto aver luogo. Retoriche egemoniche che hanno implicitamente assunto un unico punto di vista: se c’è qualcuno che sbaglia o può sbagliare, quello è lo Stato, non certo il mercato efficiente che produce e ci salva dalla pandemia. In men che non si dica, le società private che producono e vendono il vaccino agli Stati hanno dichiarato non solo di non esser capaci di ampliare la produzione, ma addirittura di non esser in grado di rispettare gli accordi. Cosa possono fare gli Stati o i gruppi di Stati, come nel caso europeo? Quel che storicamente è stato fatto in casi in cui la maggioranza della società era a rischio: usare tutti gli strumenti a disposizione per aumentare la produzione di vaccini nel più breve tempo possibile. Il primo meccanismo è quello di liberare i brevetti e distribuirli a tutte le società che hanno la capacità di produrre quel determinato bene. Nel frattempo, mettere a disposizione tutti gli impianti bio-medicali di Stato per la suddetta produzione. Del resto, quei brevetti servono solo ad assicurare profitti, pagati con i soldi dei contribuenti, non certo la salute della società. Niente di rivoluzionario, come ci ricorda il caso della produzione di penicillina (e non solo) durante la Seconda Guerra Mondiale. A ricordarci in fondo che dietro ogni industria c’è sempre uno Stato, ma soprattutto un governo dell’esistente per affermare il futuro.