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Don’t blame the INPS!

Ogni martedì il commento di Marta Fana su lavoro, diseguaglianze, diritti

Appena due settimane fa l’Inps presentava il Rapporto Annuale 2020, quattrocentottanta pagine che restituiscono la vulnerabilità con cui la maggioranza della società italiana (lavoratori e pensionati) si è scontrata con l’ennesima crisi.

Il primo messaggio da portare a casa è un po’ la scoperta dell’acqua calda: i lavoratori italiani guadagnano troppo poco, a parte una minoranza che sta in alto: il reddito da lavoro annuale dell’1% più ricco tra i lavoratori dipendenti è 28 volte superiore a quello del 10% più povero. Una differenza che si riduce a 9 volte se si confrontano le retribuzioni giornaliere, a conferma della strutturale sottoccupazione del nostro Paese.

Gli interventi, benché parziali, di sostegno al reddito in questi mesi di pandemia hanno tamponato la caduta dei redditi della maggioranza: senza questi, i lavoratori dei settori sospesi avrebbero visto i propri redditi quasi dimezzati, mentre la perdita effettiva grazie agli interventi è stata inferiore al 15%. Tra questi ci sono i lavoratori in cassa integrazione, troppo spesso chiamati comunque a svolgere il proprio lavoro. Non è un caso infatti che i dati INPS-Banca d’Italia evidenzino che i veri assistiti di questo Paese sono le aziende, non i lavoratori. Il 34% delle imprese che nella scorsa primavera hanno utilizzato almeno un’ora di cassa integrazione non ha subito riduzioni del fatturato.

Un dato da tenere a mente ogni volta che la trasmissione a reti unificate della nostra stampa inveisce contro i furbetti del reddito di cittadinanza o con chi rivendica salari dignitosi.