Il calcio ha paura delle nuove norme europee anti riciclaggio
Approvata la direttiva europea, dal 2029 i controlli sul riciclaggio nel calcio aumenteranno. Ma nonostante i tempi lunghi la Uefa non ci sta
La settimana scorsa il Parlamento europeo ha approvato con la «sesta direttiva» un nuovo pacchetto di misure legislative per il contrasto al riciclaggio di denaro. E per la prima volta ha inserito in queste misure anche il mondo del calcio. «A partire dal 2029, anche le società di calcio professionistiche di alto livello coinvolte in transazioni finanziarie di alto valore con investitori o sponsor, compresi gli inserzionisti e il trasferimento di giocatori, dovranno verificare l’identità dei loro clienti, monitorare le transazioni e segnalare qualsiasi transazione sospetta», dice il comunicato dell’Europarlamento.
Che il pallone serva come lavanderia a cielo aperto per ripulire il denaro non è certo una novità. Lo era in epoca industriale, quando i padroni delle squadre le utilizzavano per coprire gli illeciti delle loro aziende. Lo è nel tardo capitalismo, quando la metà dei grandi club europei è controllata, con quote di maggioranza o minoranza, da fondi di investimento. In questo nuovo contesto le transazioni finanziarie sono rintracciabili fino a un certo punto, poi si perdono nelle holding e nelle scatole cinesi dei paradisi fiscali.
Tanto che le Nazioni Unite hanno stimato che il riciclaggio di denaro sporco nel mondo del calcio ammonti a 140 miliardi di dollari ogni anno. Sì, avete capito bene, 140 miliardi. È scritto qui.
Tutto comincia con l’Operazione Zero
La decisione dell’Europarlamento arriva non a caso durante il semestre di presidenza belga del Consiglio. Proprio in Belgio era cominciata circa sette anni fa una gigantesca operazione antiriciclaggio che aveva prima interessato, e poi cambiato per sempre, il calcio locale. Chiamata Operazione Zero (o anche Operazione Mani Pulite) nel giro di un paio di anni aveva portato alla condanna di una cinquantina di personaggi di primo piano del pallone belga: presidenti, direttori sportivi, procuratori, allenatori e anche giornalisti.
Durante l’inchiesta è emersa una serie di operazioni di utilizzo di fondi neri e di riciclaggio di denaro sporco per ripulire i soldi della criminalità organizzata, dei vari oligarchi o signori della guerra. E partendo dal Belgio l’operazione si è allargata all’area balcanica. Ma non solo. Tra i personaggi arrestati figura per esempio il procuratore Mogi Bayat, di cui si raccontano strettissimi legami con il Watford Fc di Gino Pozzo. Una squadra di cui ci eravamo già occupati per altre inchieste sullo stesso tema. È evidente che il problema riguarda tutta l’Europa.
Se alla Uefa cinque anni sembrano pochi
Dal 2029 le società calcistiche europee affiliate alla Uefa dovranno quindi monitorare ogni passaggio di denaro secondo nuovi parametri. E provvedere loro stesse a segnalare qualsiasi somma di cui non sia certa la specchiata provenienza. Inoltre dovrà essere certificata la provenienza del patrimonio di qualunque investitore abbia una quota superiore al 15% in un club. Al di là della difficoltà nel farlo, perché la maggior parte di queste somme transita oramai dai paradisi fiscali, si sono sollevate diverse critiche sulla lunga tempistica per mettere in atto le nuove regole. Ben cinque anni di tempo. Troppi.
Eppure potrebbero essere pochi. La prova di ciò arriva proprio dal Belgio. Quando nel 2019 si è chiusa la prima fase dell’Operazione Zero, si è visto che i soliti tre anni di prammatica non sarebbero bastati ai club per mettersi in regola, quindi ne sono stati dati cinque. E così saranno cinque anche per i club europei, poi scatteranno i controlli. Ma nonostante sia stato dato tutto il tempo ai buoi di scappare prima di chiudere la stalla, sia la Uefa sia la Eca (Associazione dei club europei) hanno protestato, seppur in maniera informale. A loro dire per non essere state coinvolte nella scrittura delle nuove norme. A pensar male a volte ci si mette meno di cinque anni.