Capovolte, libri che diventano incontro

Una piccola casa editrice impegnata a far conoscere i femminismi non occidentali

Il 14 marzo 2018, a Rio de Janeiro, Marielle Franco – politica, attivista, sociologa, donna nera e favelada brasiliana – veniva uccisa in un agguato. Sul posto vengono ritrovati nove proiettili calibro nove, quasi tutti andati a segno. Un anno e mezzo prima, Marielle Franco era stata eletta come consigliera nella Câmara Municipal di Rio de Janeiro con la coalizione formata da Partito Comunista e Partito Socialismo e Libertà. Aveva 38 anni ed era da sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei più deboli, degli emarginati, di ogni minoranza e di chi – come lei – veniva dalle favelas. E denunciava soprattutto gli abusi della polizia. La stessa polizia a cui era destinata la partita di proiettili che l’hanno uccisa.

La puntata di oggi di Storie dal futuro parla di una casa editrice indipendente di Alessandria, Capovolte edizioni, e parrà senza senso iniziare raccontando di Marielle Franco. Eppure certe storie si intrecciano, si incontrano a distanza. I semi di qualcosa che nasce in un luogo possono essere a migliaia di chilometri di distanza, la miccia può essere lontana dalla bomba.

Tutto comincia con l’assassinio di Marielle Franco

Ilaria Leccardi è una giornalista che fino al 2018 lavorava per un’agenzia di stampa. Nella sua attività si occupava soprattutto di sport, di esteri e di movimenti sociali, principalmente in America Latina. Settori che erano, e sono tuttora, anche i suoi interessi personali. Dopo anni in agenzia, Ilaria sente il desiderio di dedicarsi a un progetto tutto suo, più sostenibile e ad ampio respiro: lavori da curare nel tempo, che abbraccino periodi più lunghi e si discostino dalla velocità delle notizie della stampa.

La “forma libro” è ideale per Ilaria, che ha già all’attivo diverse pubblicazioni di sport, ed è qui che nasce quella che lei stessa definisce una “piccola follia”. Un esperimento che si trasforma in un lavoro e in un progetto che cresce con continuità e qualità sempre maggiori.

È il 2018 appunto e, quando Marielle Franco viene uccisa, Ilaria capisce che è fondamentale raccontare la sua storia. Lo fa con Agnese Gazzera, ex collega a La Presse, dando vita al primo titolo della collana Ribelle, ovvero Marielle, presente!.

Parallelamente viene pubblicato un altro volume, Salto avanti. La ginnastica, l’Africa, la mia vita, un libro che racconta la storia di Arianna Rocca, ginnasta che a 21 anni ha lasciato lo sport per seguire un sogno, quello di lavorare nelle scuole in Tanzania. Il libro è scritto a quattro mani dalla stessa Arianna Rocca, insieme a Ilaria Leccardi, e inaugura la collana Dinamica, dedicata allo sport femminile. 

Le due collane rappresentano le passioni di Ilaria e racchiudono in un unico discorso, con prospettive diverse, il racconto delle donne con uno sguardo di genere e femminista.

Un percorso di cura

Capovolte inizia da quel momento il suo percorso; un percorso che vuole essere sostenibile, ad ampio respiro e di cura. E che da subito, e sempre più nel tempo, ottiene parecchi riscontri positivi.

Quando nel 2020 la pandemia irrompe nella vita quotidiana, il colpo si fa sentire per una realtà piccola, nata da poco e incentrata sullo scambio dal vivo con il pubblico. La casa editrice, però, nel frattempo aveva acquistato i diritti per un libro dell’autrice e filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, Il luogo della parola. L’opera esce durante la pandemia e inaugura una nuova collana di pensiero femminista, Intersezioni, che ha l’obiettivo di portare in Italia autrici non tradotte, e vuole provare a discostarsi da un tipo di femminismo “eurocentrico” o prettamente anglosassone, aprendo quindi un canale e uno sguardo rivolto verso il Sud del mondo.

Proprio con questo libro, Capovolte partecipa al bando “Che Impresa per le donne”, che ha l’obiettivo di selezionare micro e piccole imprese femminili e di stanziare per ciascuna di esse fino a 25mila euro ciascuna a fondo perduto, grazie ai 137mila euro messi a disposizione da Etica Sgr come erogazione liberale. Il fondo servirà per il progetto “Decolonizzare il sapere. Pratiche di femminismo antirazzista”, attraverso il sostegno a eventi culturali, presentazioni, campagne di marketing e comunicazione. Un progetto legato anche alla pubblicazione proprio delle opere di Djamila Ribeiro. “Decolonizzare il sapere. Pratiche di femminismo antirazzista” si declina inoltre nella realizzazione di un laboratorio dal titolo “Memorie da Sottopelle. Laboratorio di coreo/grafie decoloniali”, ideato e curato da Marie Moïse e Mackda Ghebremariam Tesfau’, ricercatrici e attiviste.

Il lavoro di divulgazione dei femminismi non occidentali

Ho chiesto a Marie Moïse da dove sia nata l’idea di questo laboratorio, quale sia stata l’urgenza che ha spinto lei e Mackda Ghebremariam Tesfau’ a pensarlo, idearlo e costruirlo.

«Capovolte sta dando un contributo a mio avviso essenziale alla divulgazione dei femminismi non occidentali, alle loro pratiche, ai loro concetti e alle loro istanze di liberazione. C’è un lavoro da fare in questa direzione che è strutturale, in quanto abbiamo a che fare con una nuova ondata femminista che rischia di svuotare i significati e i concetti e le metologie che ha messo al centro, in primis l’intersezionalità. Da qui nasce l’idea di dare ulteriore valorizzazione ai testi di Capovolte, al loro contributo e alle contraddizioni che questa nuova fase femminista contemporanea ci mette davanti. È infatti importante che questo pensiero avanzi e prenda piede, ma è altrettanto importante che lo faccia in forme che non siano compatibili con il sistema patriarcale». 

Nel concreto, dunque, come si declina questo principio?

«L’idea è quella di un laboratorio che prenda i testi e i contributi del catalogo di Capovolte e li valorizzi, non semplicemente facendo eco a ciò che viene detto in quei volumi, ma anzi costruendo delle occasioni di relazione, di corpi in relazione diretta, viva e concreta in cui quelle pagine – e ciò che quelle parole suscitano – possano essere riversate direttamente nelle relazioni che noi creiamo. Un lavoro quindi che permetta di sperimentare il testo tra un’autrice e il suo pubblico, non solo in una forma – molto occidentale – dell’una a una, quindi dell’autrice e della lettrice, ma dell’una all’insieme, ovvero “Io sono perché noi siamo” che è uno dei concetti fondamentali del lavoro di Marielle Franco, una delle voci di questo laboratorio. Vogliamo creare il “Noi siamo” laddove c’è un “Io sono” che prende parola. Imparare quindi ad ascoltarlo e a riversare quell’ascolto in gesti concreti e in una presa di consapevolezza collettiva. Dentro a questo impianto si sviluppa anche la volontà di dare una nuova centralità al testo poetico, quindi poesia e corpo, da cui nasce l’idea di “Coreo/Grafie”».

Il laboratorio vuole mettere al centro e creare una relazione tra il movimento e la parola, tra il corpo e la poesia. In che modo le due cose si intrecciano in questi incontri che stanno avendo un grande successo?

«La poesia all’interno del catalogo di Capovolte sta gradualmente prendendo sempre più importanza. Lo sta facendo anche attraverso questo laboratorio che ha volutamente estrapolato le pagine più liriche e le formule poetiche che si intervallano nei saggi, oppure nei testi che hanno dato vita alla collana di poesia, La Po Ra».

Ma perché proprio la poesia? 

«Audre Lorde diceva che la poesia non è un lusso, ma quella forma di espressione per chi non detiene il tempo di fare elaborazione teorica e razionale, perché è stata messa in una condizione di oppressione strutturale che è fatta anche di tempo e di elaborazione che manca. Questo laboratorio vuole far emergere un altro modo di fare relazione, con un altro tempo di fare relazione, che è il tempo della poesia. Significati quindi concentrati che creano connessione diretta tra il verbo, la parola verbalizzata e il sentire del corpo, in un nesso che non deve essere necessariamente logico o scientificamente dimostrabile, ma deve essere strumento di comunicazione e di relazione, di elaborazione, espansione al di fuori di me di quello che ho elaborato del mondo. Il femminismo nero che fa da scheletro dell’impianto teorico del laboratorio è un pensiero incarnato, che mette al centro di tutta la sua teoria il corpo come luogo primario. Non esiste una teoria che non parta dall’esperienza che il corpo fa del mondo e che poi viene elevata a sguardo complessivo, ma sempre situato, che non perde mai il contatto con il corpo. C’è quindi una centralità del corpo che è teorica, ma è anche esperienziale. È il corpo che fa esperienza del mondo, è il corpo su cui si iscrive l’esperienza, su cui ne rimangono le tracce indelebili che – volenti o nolenti – continuiamo a portare con noi, è il corpo che eredita le memorie. Di tutta questa centralità del corpo, la poesia diventa il mezzo preferenziale di espressione per la sua immediatezza, per la sua capacità di trasmettere in parola quello che il corpo vive».

Il verbo e la parola possono quindi andare allo stesso ritmo con cui il corpo si muove, danza e si esprime. È importante sottolineare però anche l’esigenza politica. Quella che avviene nel laboratorio è infatti una performance in cui ognuna delle partecipanti decide se e cosa condividere in merito all’elaborazione in poesia della propria esperienza, attraverso una forma coreografata della propria poesia e del proprio testo poetico.

«Questa performance condivisa viene vissuta in una stanza, ma è immaginata e proposta come qualcosa da portare in piazza, come un’altra modalità di portare contenuti di protesta e di visione e trasformazione radicale del mondo attraverso linguaggi nuovi, diversi da quelli che tendenzialmente attraversano le tante piazze di manifestazione e strade di contestazione, volendo anche in quell’ambito valorizzare il discorso poetico rispetto al discorso teorico, consequenziale e razionale. Il discorso decoloniale non è razionale, è qualcosa che ci tocca le viscere. Di conseguenza, anche il modo con cui pensiamo di portarlo in piazza non può non fare i conti con quelle viscere e con il bisogno di costruire un sentire collettivo che passa per l’arte».

Qual è il sogno per il futuro di Capovolte? L’ho chiesto a Ilaria Leccardi che, parlando degli obiettivi che lei e le sue collaboratrici hanno in mente per Capovolte.

«Siamo guidate dall’idea che il libro sia uno strumento prima di tutto di incontro e di militanza, in quanto c’è una forma di attivismo molto importante. Crediamo sia necessario schierarsi nella nostra contemporaneità e portiamo questi valori nelle nostre pubblicazioni. L’idea è proprio quella che il libro non abbia vita breve: seguiamo i nostri progetti nel tempo, stiamo presentando ancora adesso libri usciti il primo anno della nostra vita. Magari non abbiamo la potenza enorme di arrivare sugli scaffali di tutte le librerie, ma offriamo percorsi di valore a cui teniamo molto e per i quali andiamo a coinvolgere realtà che spesso lavorano nel sociale. I libri sullo sport per esempio hanno per noi un importantissimo valore perché avvicinano sia l’ambito sportivo a tematiche femministe, sia l’ambito femminista alle dinamiche sportive, cosa che non è così scontata. Tante volte in ambito femminista non si valorizza la pratica sportiva. Al tempo stesso nello sport c’è un’enorme necessità di uno sguardo e di una narrazione diversi».

Capovolte vuole quindi lavorare sull’idea di intreccio e di contaminazione, con l’obiettivo che il libro diventi un veicolo d’incontro.