Clima, così le banche europee si condannano

Gli stress test climatici condotti dalla BCE indicano che le banche europee potrebbero perdere 21 miliardi di euro all’anno a partire dal 2029

Ilaria Ghaleb
Un sito di stoccaggio di petrolio per il trasporto marittimo © AvigatorPhotographer/iStockPhoto
Ilaria Ghaleb
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La crisi climatica potrebbe costare molto, molto cara alle banche europee. Gli ultimi stress-test condotti dalla Banca Centrale Europea con l’obiettivo di comprendere il grado di resilienza degli istituti di credito rispetto agli impatti dei cambiamenti climatici indicano che i ritardi accumulati nella transizione ecologica rappresentano ormai un fardello enorme per la finanza. Le banche europee potrebbero perdere fino a 21 miliardi di euro all’anno a partire dal 2029. E ciò anche se ci si ponesse in linea con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi a partire dal 2026.

Le banche hanno nelle mani il loro destino (e il nostro)

Qualora invece l’abbandono delle fonti fossili e le altre azioni necessarie per limitare il riscaldamento globale venissero avviate immediatamente, il “rosso” per gli istituti di credito sarebbe di “soli” 13 miliardi di euro all’anno a partire dal 2026. E scenderebbe a 6,6 miliardi all’anno nel 2030.

fonti fossili banche
Le grandi banche internazionali continuano a finanziare le fonti fossili © sasacvetkovic33/iStockPhoto

Se invece non si rispettassero in alcun modo gli obiettivi dell’Accordo di Parigi – ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto al periodo pre-industriale, ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi – le perdite sarebbero di 9 miliardi di dollari all’anno fino al 2030. E poi ben più pesanti in seguito.

L’ultimo dato può sembrare contraddittorio. Ma è così soltanto in apparenza. La spiegazione sta nel fatto che puntare sul business as usual, che comprende le fonti fossili, può garantire ancora dei ritorni economici importanti. Fondati però sulla miopia (fatti salvi i rari casi di banche che rifiutano di investire nella distruzione del Pianeta).

I guadagni miopi con carbone, petrolio e gas

In altri termini: si può ancora guadagnare denaro con petrolio, carbone e gas. Ma ciò comporterà un aggravarsi della crisi climatica tale da generare perdite gigantesche per il sistema finanziario dopo il 2030. È per questo che qualunque manager dotato di buon senso (e che abbia a cuore, magari, non soltanto il bilancio della propria banca ma anche la salvaguardia della Terra) dovrebbe smettere immediatamente di investire nel settore fossile.

La BCE ha precisato anche che, in assenza di una sufficiente azione climatica, le perdite bancarie cresceranno del 78%, nel 2030, rispetto al 2022. E invece in caso di transizione rapida lo faranno del 48%. Ciò ci fornisce un secondo elemento di riflessione. Ovvero la conferma del fatto che una “quota” degli effetti dei cambiamenti climatici è ormai ineluttabile. Saremo costretti a fronteggiarla. Anche se oggi imprese non finanziarie, istituti di credito, fondi e governi di tutto il mondo si “svegliassero”e comprendessero la gravità del problema.

Alle banche la BCE chiederà sempre più accantonamenti

Per le banche, in particolare, tutto ciò si trasformerà in nuove richieste di “cuscinetti di sicurezza”. Ovvero capitali accantonati per essere pronte a rispondere alle perdite. Una zavorra che peserà probabilmente anche sul credito erogato, con conseguenze a cascata per l’economia reale.

La totale assenza di lungimiranza del settore (è utile ricordare che soltanto le 60 più grandi banche del mondo hanno concesso alle fossili 5.500 miliardi di dollari dal 2016 al 2022), insomma, rappresenterà una condanna per il comparto stesso ma anche per tutti noi. Aggravato dal fatto che, insiste la BCE, imprese e famiglie rischieranno di faticare molto di più a rimborsare i loro crediti.

Ciò anche per via dei costi legati all’energia, che si prevedono in aumento. E il tutto peserà soprattutto sui conti delle banche più grandi, poiché il 10% degli istituti più grandi rappresenta il 90% dell’esposizione complessiva del settore noi confronti dei comparti più energivori.

Fatelo almeno per i vostri azionisti…

La domanda è: visto che a spiegare tutto questo non sono le ong ecologiste ma la Banca Centrale Europea, gli amministratori delegati e i Cda ascolteranno? Capiranno, finalmente? Avranno la forza di dire alla lobby delle fonti fossili che la musica ormai è cambiata? Care grandi banche, se non ce la fate a fare qualcosa di ambientalista, fate per lo meno qualcosa di civiltà. E se non volete farlo per la Terra e le future generazioni, fatelo almeno per voi stesse e per i vostri azionisti!