Collegialità, responsabilità e valori. Come nacque l’idea di una finanza etica
Viaggio nella cultura dalla quale nacque l'idea di una finanza diversa da quella che vede il profitto come unico motore
Oggi, rispetto al passato, il termine “banca etica” è entrato nel linguaggio di una buona parte dell’opinione pubblica. Tuttavia, spesso, si tratta di una conoscenza superficiale, forse a causa di una troppo rapida associazione a qualcosa di genericamente buono, giusto, pulito – in un’epoca poi in cui la grande crisi finanziaria ha compromesso la reputazione del sistema bancario – o, in una lettura più politica, a una visione critica e radicale del sistema bancario.
Non è quindi un caso se spesso al termine etico si aggiungano altri aggettivi come alternativo, responsabile, sostenibile, solidale per descrivere queste banche “diverse”. Non è mia intenzione analizzare quale sia l’aggettivo più appropriato, quanto piuttosto provare a entrare in quei momenti unici, e quasi magici, in cui si è innescato il processo che poi ha portato alla nascita di queste banche. Per capire cosa “girasse per la testa” di quelle persone che hanno intrapreso tale percorso e soprattutto in che contesto/humus queste persone hanno trovato le motivazioni per mettersi assieme e realizzare il progetto.
Ecco allora un primo possibile elemento, la collegialità. Non quindi il super-esperto, il genio, il nerd (diremmo oggi) che in solitaria trova la formula della super banca e della banca start up, quanto piuttosto persone che sentono la necessità di cooperare per attivare processi di cambiamento che riportino al centro della storia l’essere umano e le sue relazioni.
Secondo possibile elemento: condividere la responsabilità di cambiare situazioni, dinamiche, prassi che si ritengono sbagliate, andando però al cuore di ciò che genera “ingiustizia”. Non quindi una critica generica a una finanza scollegata dal mondo reale, ma l’impegno a offrire alternative efficaci e sostenibili, affinché le persone possano adottare comportamenti e scelte coerenti con i loro valori.
Terzo possibile elemento: i valori. Ma quali valori? Non esiste persona od organizzazione che non abbia valori di riferimento. Purtroppo, però, spesso assistiamo a una schizofrenia di tipo valoriale, tendiamo a utilizzare scale di valori diversi a seconda del contesto in cui ci troviamo; come, per esempio, l’utilizzo di valori etico/morali in un contesto sociale e relazionale, o come quelli di mercato nel caso di attività economiche. Questi pionieri probabilmente hanno voluto rompere questo circolo vizioso, proponendo un concetto che tenesse insieme il valore economico con quello sociale e ambientale, nella consapevolezza che tutto ciò, modificando i criteri di valutazione del risultato finale, avrebbe inevitabilmente cambiato i processi di produzione, ma anche di redistribuzione del valore stesso. L’utilizzo di una valutazione socio-ambientale per erogare un credito o fare un investimento, una governance fondata sul coinvolgimento reale degli stakeholder sono oggi degli indicatori di quelle intuizioni.
Grazie alla conoscenza di alcune storie di banche etiche, mi sono permesso di estrapolare alcuni elementi che spero possano aiutarci a capire quell’alchimia che rese possibile la loro nascita. Nella consapevolezza che sono molto più complessi i processi che riescono a tenere assieme le spinte sociali e di cambiamento, tipiche di molti movimenti, con la capacità dei singoli e delle organizzazioni di dare risposte concrete a questi bisogni.
L’averlo fatto tenendo insieme la dimensione associativa legata al sogno (rinnovamento sociale) con quella societaria (responsabilità economica) non rappresenta solo una eco del passato, ma uno sprone, per chi oggi riceve il testimone, ad attualizzare queste intuizioni in modo efficace.