Il Comitato di Basilea salva i rischi climatici, ma solo a metà

Come risultato del lobbying statunitense, i rischi climatici faranno parte di Basilea III ma parzialmente e su base volontaria

La Fed di Jerome Powell si oppone all'inserimento dei rischi climatici negli standard di Basilea III © Federalreserve/Wikimedia Commons

Mesi e mesi di pressioni da parte degli Stati Uniti hanno portato i loro frutti. Anche se la Federal Reserve sperava di riuscire a ottenere molto di più. Il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, tramite un comunicato diffuso il 12 maggio, annuncia la pubblicazione di un quadro di rendicontazione dei rischi climatici. Ma sarà soltanto volontario.

Rischi climatici e banche: l’accordo al ribasso del Comitato di Basilea

Le banche centrali e le autorità di regolamentazione di una trentina di Paesi si sono riunite nel Comitato di Basilea con un mandato chiaro: rendere più stabile il sistema bancario internazionale. A tale scopo hanno messo a punto un quadro normativo per i requisiti di capitale delle banche, rafforzato e integrato dopo la crisi finanziaria del 2008. Gli standard più recenti di Basilea III, finalizzati nel 2017, devono ancora entrare pienamente in vigore. Il più recente terreno di scontro è la rendicontazione dei rischi climatici. Perché da un lato c’è una realtà in cui la crisi climatica rischia di mandare in fumo il 15% del prodotto interno lordo (Pil) globale entro la metà del secolo. Dall’altro lato c’è la Federal Reserve che insiste per tenere il clima al di fuori delle regolamentazioni finanziarie.

La soluzione a cui giunge il Comitato di Basilea è, tanto per cambiare, un compromesso. I rischi climatici dunque ci sono, ma nel terzo pilastro (relativo alla disciplina di mercato) anziché nel primo (che definisce i requisiti patrimoniali minimi). Soprattutto, si concentrano sull’analisi degli impatti finanziari degli eventi meteo estremi. Tralasciando i cosiddetti rischi di transizione. Cioè quelli legati alle variazioni delle normative e delle preferenze di mercato, oppure agli stranded assets, i “beni incagliati” destinati a perdere valore con la transizione energetica. Come se non bastasse, la rendicontazione è soltanto volontaria: i singoli Stati avranno l’ultima parola sulla sua adozione.

In bilico il futuro della Task Force del Comitato di Basilea

Gli Stati Uniti speravano in una decisione molto più drastica. Tanto da aver chiesto di sopprimere il gruppo di lavoro che a partire dal 2020 si occupa di rischi climatici all’interno del Comitato di Basilea – che prende il nome di Task Force on Climate-Related Financial Risks – e di sostituirlo con un altro gruppo di rango inferiore. Lo riferiscono alcune fonti dell’agenzia Bloomberg. Il Gruppo dei governatori e delle autorità di vigilanza, però, avrebbe bocciato la proposta.

Il futuro a lungo termine della task force resta comunque un punto di domanda. Tant’è che il Comitato di Basilea non la menziona nemmeno nel suo comunicato e si astiene da qualsiasi commento in merito. Sempre secondo Bloomberg, non è da escludere che la Task Force on Climate-Related Financial Risks funga da merce di scambio nei negoziati con gli Stati Uniti. Washington, infatti, deve ancora approvare il pacchetto finale di riforme di Basilea III, a differenza della gran parte degli Stati che ha provveduto nel 2023.

«L’opposizione statunitense – a standard sia volontari sia obbligatori – è un tentativo di limitare la conoscenza e la comprensione dei rischi», dichiara Danielle Fugere, presidente del gruppo di azionariato attivo As You Sow. «Stiamo riducendo la trasparenza proprio quando ne abbiamo più bisogno».

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