Il contrabbando di oro africano cresce. E passa per Dubai
Nel 2022 sono state contrabbandate 435 tonnellate d’oro africano. Pronto a raggiungere il resto del mondo, spesso dopo una tappa a Dubai
C’è un mercato illegale gigantesco di cui finora non sapevamo quasi nulla. Trae origine dalle miniere artigianali e informali dell’Africa, dove lo sfruttamento dei più deboli e i rischi per la salute sono all’ordine del giorno; transita per pochi Stati, in primis gli Emirati Arabi Uniti, e da lì entra legalmente nel mercato internazionale. Potenzialmente, anche in Italia. Si tratta dell’oro africano.
La produzione di oro africano: i dati svelati da Swissaid
La fondazione umanitaria Swissaid ha lavorato per tre anni per ricostruire le rotte dell’oro proveniente da 54 Paesi africani tra il 2012 e il 2022. I numeri sono clamorosi. L’Africa, infatti, è un peso massimo nella produzione d’oro, con un totale compreso tra le 991,4 e le 1.144,6 tonnellate nel 2022. Una quota che, a seconda delle stime, va da un quarto a un terzo del totale planetario.
Le miniere artigianali e su piccola scala del Continente ne estraggono più della metà; ma, nel 72-80% dei casi, senza una dichiarazione d’origine. A conti fatti, dunque, la produzione clandestina si aggira tra le 321 e le 474 tonnellate d’oro all’anno, per un valore commerciale che, ai prezzi correnti, è compreso tra i 23,7 e i 35 miliardi di dollari. Nel complesso, è di provenienza illegale il 32-41% dell’oro africano (conteggiando nel totale anche quello prodotto su scala industriale e semi industriale). Nei tre Stati leader per volumi, cioè Ghana, Mali e Sudafrica, la produzione informale sorpassa di gran lunga quella legale.
Le condizioni di lavoro disumane nelle miniere informali africane
Nel mondo, riferisce sempre Swissaid, le miniere d’oro danno lavoro a più di cento milioni di persone. Da un lato però ci sono i giacimenti di proprietà delle grandi corporation; non sono privi di criticità in termini ambientali e di sicurezza ma, perlomeno, sono gestiti in modo professionale. Per una larga fetta della popolazione, però, l’unica strada per guadagnarsi da vivere è scavare nelle piccole miniere artigianali.
Miniere in cui gli operai – anche giovanissimi, anche bambini – si infilano nelle cavità fino a 50 metri sottoterra, respirando per ore polveri tossiche, nella semi oscurità e con uno scarso ricambio d’aria. Spesso senza nemmeno indossare guanti, caschi né occhiali protettivi. Miniere in cui si usa il mercurio per separare il metallo prezioso dagli altri sedimenti: è inquinante e pericoloso per la salute umana, ma è economico. Per giunta, in mancanza di una licenza, l’oro non può nemmeno entrare nei circuiti legali e va quindi venduto sottocosto.
Gli Emirati Arabi Uniti come snodo nel contrabbando internazionale di oro africano
Ma cosa succede all’oro africano? È rarissimo che resti nel Paese d’origine e, quando rimane nel Continente, il primo acquirente è il Sudafrica. Ma la grande maggioranza viene esportato altrove. Prendendo quindi in considerazione l’export dell’oro estratto da miniere industriali e artigianali, in modo regolare o clandestino, si scopre che l’80% finisce in soli tre Paesi: India (12% del totale), Svizzera (21%) ma soprattutto Emirati Arabi Uniti che, da soli, rappresentano il 47% del totale.
Tra il 2012 e il 2022, nei confini emiratini sono entrate ben 2.569 tonnellate di oro che non era stato dichiarato per l’esportazione nei Paesi africani dov’era stato estratto. Il suo valore complessivo, calcolato sulla base dei prezzi medi degli undici anni considerati, è di 115,3 miliardi di dollari. Nel solo 2022, il 66,5% dell’oro che gli Emirati hanno importato dall’Africa era di contrabbando. Stiamo parlando di 405 tonnellate. Cioè l’assoluta maggioranza del totale contrabbandato dall’Africa nello stesso anno. Che secondo Swissaid supera le 435 tonnellate, più di una al giorno, per un valore commerciale di 30,7 miliardi di dollari. Un mercato più che raddoppiato tra il 2012 e il 2022.
L’oro emiratino e svizzero che in realtà arriva dall’Africa
Non è un caso se Dubai è stata ribattezzata la “città dell’oro”, con le sue circa venti raffinerie e i suoi 7mila trader di pietre e metalli preziosi. Una volta raffinato in questo Paese di transito, l’oro è pronto a ripartire per altre destinazioni in tutto il mondo, prime fra tutte Svizzera, Turchia, Hong Kong e India. Approfittando del fatto che varie legislazioni, tra cui quella elvetica, considerino l’ultimo luogo di lavorazione come luogo d’origine. Una tappa intermedia che dunque cancella con un colpo di spugna la reale provenienza della merce, permettendo di scambiarla nei circuiti legali senza alcun problema.
E non è da escludere che anche in Italia circoli oro estratto nelle miniere clandestine africane, suggerisce alla testata il Fatto Quotidiano Marc Ummel, co-autore del rapporto di Swissaid. Il nostro Paese, forte degli storici distretti orafi di Arezzo, Valenza, Vicenza, Milano e della Campania, si attesta tra i principali importatori di oro dell’Unione europea, insieme al Belgio. I principali Paesi fornitori? Svizzera ed Emirati Arabi Uniti.