Per arginare le fake news russe la Commissione Ue mette le mani sui social media

Il piano d’azione dell'Ue contro la disinformazione on line sembra più la copertura di un'operazione di controllo dei social media

Roberto Ferrigno
Roberto Ferrigno
Leggi più tardi

Lo scorso dicembre la Commissione Europea ha adottato un piano d’azione contro la disinformazione sui social media. Motivo ufficiale: contrastare le “fake news” lanciate dai russi. Ma in realtà è solo l’ultimo passo di una lunga e articolata operazione di monitoraggio e controllo dei social media europei e delle fonti d’informazioni russe.

Disinformazione made in Russia

Fin dal colpo di stato ucraino del 2014 – ormai senza alcun dubbio organizzato, coordinato e pagato dall’UE e dagli USA – le istituzioni europee (Commissione, Consiglio e Parlamento) hanno adottato di comune accordo una serie di misure per contrastare la pretesa “interferenza russa” in ogni evento europeo di rilevanza politica degli ultimi 5 anni.

Mosca avrebbe interferito, diffondendo “fake news” e operando campagne di disinformazione, nelle elezioni presidenziali francesi, in quelle politiche italiane e macedoni, nel referendum indipendentista catalano e in quello della Brexit. Inoltre la Russia avrebbe malignamente influenzato e sviato l’attenzione dei cittadini europei dalle reali vicende in Siria e Ucraina. Nelle scorse settimane, infine, la disinformazione russa, principalmente veicolata attraverso i “media di Stato” moscoviti Sputnik e Russia Today, avrebbe svolto un ruolo importante nella dilagante protesta dei “gilets jaunes” in Francia.

I gilet gialli? Figli della Francia che perde potere d’acquisto

Caso emblematico rimane quello dell’avvelenamento della spia russa al servizio degli inglesi Skripal e di sua figlia nel marzo 2018 a Salisbury, UK, che ha visto USA ed UE agire di concerto, accusando immediatamente i servizi segreti russi del tentativo di assassinio della coppia ed espellendo decine di diplomatici moscoviti nei giorni seguenti.

Le contromosse dell’Europa

Sorvolando sull’assoluta mancanza di prove a sostegno dell’isterica campagna antirussa sulle “fake news” condotta ormai da quasi 5 anni, l’UE continua a rimpolpare la panoplia di strumenti repressivi di qualsiasi pensiero critico si possa esprimere attraverso i social media, in coordinamento sempre più stretto con la NATO, in nome dell’aggressione russa alla democrazia.

Eppure ci si chiede perché nessun organo d’informazione tradizionale si sia preoccupato di diffondere e approfondire quanto venuto a galla negli ultimi mesi, con “fake NGOs” e “fake think tanks”, finanziati dalla NATO, dai governi USA e UK e da fondazioni private, che hanno sia diffuso false informazioni, promuovendo campagne anti-russe, sia attuato schedature di massa di individui e accounts Facebook e Twitter (fina a 50.000), che esprimevano critiche nei confronti di Macron per il cosiddetto “affaire Benalla”. Del caso di EU Disinfo Lab ci siamo già occupati in precedenza.

La rete di Ong e think tank che aiutano la schedatura di massa in Europa

In novembre 2018 Anonymus ha rivelato l’operazione “Integrity Initiative”, gestita dal governo e dai servizi di sicurezza inglesi e mirata alla creazione ed attivazione di “clusters” nazionali di “competent, committed and well-connected individuals, ideally with a suitable institute affiliation”. In pratica, si tratterebbe di giornalisti pagati per scrivere articoli con l’obiettivo di screditare Mosca, a partire proprio dal caso Skripal e, per quanto riguarda il Regno Unito, il leader laburista Jeremy Corbyn.

Secondo i documenti rivelati da Anonymus in diverse ondate, esisterebbero almeno una ventina di “clusters” operativi in Europa, Asia ed Africa. In quello italiano appare il nome di Beppe Severgnini legato al Corriere della Sera. Altra testata coinvolta, La Stampa.

Il silenzio assordante dei mezzi di comunicazione tradizionali su queste operazioni di disinformazione indirizzate a contrastare qualsiasi opposizione al vigente regime dell’UE, richiama l’assassinio della giornalista maltese Caruana Galizia e di quello slovacco Jan Kuciak, entrambi impegnati ad investigare legami tra criminalità organizzata, grande finanza e politica. Un messaggio inequivocabile di promozione dell’autocensura, onde evitare di fare una brutta fine.

L’Onu accusa l’UE: reprime la libertà di espressione

I media europei hanno ignorato anche la lettera indirizzata all’UE lo scorso 7 dicembre da ben tre special rapporteurs dell’ONU: David Kaye, rapporteur sulla difesa e promozione della libertà di espressione; Joseph Cannataci, rapporteur sul diritto alla privacy;  Fionnuala Ní Aoláin, rapporteur sulla difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo.

La lettera solleva precise e dettagliate preoccupazioni ed obiezioni rispetto al testo della proposta di Regolamento sulla prevenzione della diffusione di contenuti terroristi on line, adottata dalla Commissione nel settembre 2018, su esplicito invito del Consiglio nel giugno precedente. I tre rapporteurs ONU concludono elencando 6 raccomandazioni fondamentali che, se adottate, riporterebbero il Regolamento “in linea con le norme e gli standards” per la difesa dei diritti umani.

Un atto d’accusa pesantissimo verso l’UE che viene colta in flagrante violazione di quegli alti principi su cui pretende di essere basata e che non esita a voler imporre, anche col sostegno a violente operazioni di “regime change”, in Ucraina e Siria. Sia l’operazione “Integrity Initiative” sia il piano d’azione UE, prevedono di portare la propria opera di “verità e difesa dei valori europei” e supporto ai “media indipendenti” nei Balcani, in Africa, Asia e fin nel cuore della Russia.

Il Dipartimento di Stato USA, Facebook e la NATO risultano tra i finanziatori  della psyop inglese (Psychological Operations, la cosiddetta guerra psicologica).

“Proteggere” le elezioni europee

Da parte sua la Commissione prevede un budget di 5 milioni di euro per il 2019, in modo da rafforzare e coordinare le attività degli organismi seguenti: “Strategic Communication Task Forces of the European External Action Service, the Union Delegations and the EU Hybrid Fusion Cell by providing them with additional specialised staff, such as experts in data mining and analysis to process the relevant data.” Lo sforzo immediato sarà indirizzato a “proteggere” l’ordinato svolgimento delle elezioni europee del prossimo maggio. Visto che lo storico regime di monopolio del potere politico UE da parte della Germania e dei due partiti tradizionali, PPE e S&D che le fanno da stampelle nell’emiciclo di Strasburgo, è seriamente minacciato dall’avanzata di sovranisti, populisti e neofascisti, dalla Francia, alla Spagna, all’Italia, passando per la stessa Germania, a Bruxelles si vive ormai uno stato permanente di panico.

Per le elezioni, quindi, verrà reso operativo un Rapid Alert System in cooperazione con gli Stati membri, per rendere disponibile un sistema di allarme in tempo reale su campagne di disinformazione, attraverso un’infrastruttura dedicata”, scrive la Commissione europea. Ciascun Stato membro quindi – continua – “dovrà designare, in linea con le sue strutture istituzionali, un punto di contatto (contact point), idealmente posizionato all’interno di dipartimenti strategici di comunicazione”.

Sotto il controllo di polizia e servizi segreti

Inutile sottolineare come un “contact point” con queste caratteristiche e prerogative potrà risiedere solamente negli organismi di controllo polizieschi e dei servizi segreti. Visto che l’intera operazione sarà condotta in maniera coordinata con la NATO, appare evidente come lo scopo del contrasto alle “fake news” dei russi serva da copertura ad una complessa e articolata operazione di monitoraggio e controllo dei social media europei e delle fonti d’informazioni russe. Il tutto perfettamente in linea con quanto rivelato da Edward Snowden nel 2013 rispetto al ruolo dell’operazione PRISM della NSA. Obama difese a spada tratta PRISM con la scusa, mai suffragata dai fatti, che questo avrebbe permesso di prevenire ulteriori attacchi terroristici. La Commissione UE, promuovendo un regime di sorveglianza totale dei social media, dichiara di volerci difendere dalla Russia, proponendo allo stesso tempo un Regolamento per eradicare il terrorismo on line che è in violazione delle norme internazionali a protezione dei diritti umani. Alzi la mano chi crede ancora alle favole.