Cop29, cosa dice (e soprattutto non dice) la nuova bozza sulla finanza climatica
Pubblicati nella notte i nuovi testi sui quali stanno lavorando i negoziatori alla Cop29 di Baku. Qualche punto fermo, alcuni slalom e ancora tanti dubbi
Come facilmente immaginabile, visto l’andamento dei primi dieci giorni di negoziati alla ventinovesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop29), dall’analisi delle bozze dei documenti principali pubblicate nella notte tra mercoledì e giovedì emerge ancora chiaramente il disaccordo tra i governi. A ormai meno di due giorni di lavoro dalla prevista fine del summit.
E come facilmente immaginabile, il “passo avanti” è quello che è stato sostanzialmente “dettato” a inizio settimana dai capi di Stato e di governo riuniti a Rio de Janeiro, in Brasile: passare da billions (miliardi di dollari) a trillions (migliaia di miliardi) per quanto riguarda il principale obiettivo della Cop29. Ovvero creare un Nuovo obiettivo quantificato collettivo (New collective quantified goal, Ncqg) al fine di stanziare finalmente i capitali necessari per far fronte a mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento agli stessi e risarcimento delle perdite e dei danni (loss and damage) patiti dalle nazioni più colpite ma meno responsabili del riscaldamento globale.
Dieci pagine, si parla di migliaia di miliardi per il Ncqg ma senza altre indicazioni
La bozza è di dieci pagine, ma presenta ancora 46 parentesi quadre (a indicare i punti di disaccordo) e una serie di opzioni su tutti i punti rilevanti. In altre parole, a parte l’accettazione delle indicazioni del G20 sulla necessità di moltiplicare il quantum, non è stato ancora deciso nulla sul resto. Né chi dovrà pagare, né chi farà parte della platea di coloro che dovranno ricevere, né in quale modo tali capitali dovranno essere allocati (se attraverso sovvenzioni o prestiti).
Il cuore dei problemi è ben visibile a partire dal paragrafo 22. I governi spiegano che sarà presa appunto la decisione di creare il Ncqg, e che occorrerà arrivare a «migliaia di miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2025-2035» (forchetta piuttosto ampia di tempo). Aggiungendo un particolare interessante, e che probabilmente rappresenta una concessione ai Paesi in via di sviluppo: il fatto che il meccanismo, quale che esso sia, dovrà essere non-debt inducing. Ovvero non dovrà favorire un indebitamento delle nazioni che ne beneficeranno.
L’escamotage per aggirare il problema dello status della Cina
Si conferma poi che nel calderone dovranno finire i soldi necessari sia per l’abbattimento delle le emissioni di gas ad effetto serra, sia per l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici, sia per il loss and damage. Resta priva di indicazione, però, la cifra precisa anche per quanto riguarda ciò che dovranno sborsare i Paesi ricchi. Al paragrafo 23 si indica che «le nazioni sviluppate dovranno garantire almeno X miliardi di dollari all’anno».
Per quanto riguarda l’apporto che potrebbe essere concesso da quegli Stati che, ad oggi, sono ancora considerati in via di sviluppo, ma che di fatto hanno registrato una crescita gigantesca negli ultimi decenni (è principalmente il caso della Cina), il paragrafo 24 sembra dettare una possibile via d’uscita. La bozza indica infatti che «per quei Paesi che vorranno contribuire, potranno farlo in forma volontaria, in accordo con l’articolo 9 dell’Accordo di Parigi». Un compromesso che potrebbe consentire di aggirare uno dei nodi più difficili da districare ai negoziati della Cop29.
Presente il riferimento alla ponderazione su emissioni storiche e Pil pro-capite
Un’altra locuzione degna di nota è quella presente al paragrafo 25, nel quale si parla di stabilire dei burden-sharing arrangements per i Paesi sviluppati. Questa rappresenta la chiave ipotizzata per consentire di stabilire quanti soldi debba mettere ciascuna delle nazioni ricche: con questa formula, infatti, si dovrebbero teoricamente stabilire delle quote sulla base della responsabilità di ciascuno nell’alimentare i cambiamenti climatici. Burden-sharing può essere infatti tradotto come “condivisione del peso”, che secondo il testo dovrebbe essere basato «sulle emissioni storiche di gas ad effetto serra e sul Prodotto interno lordo pro-capite». Ove la precisazione “pro-capite” è senz’altro una conquista della Cina, Paese con un Pil enorme ma che presenta 1,4 miliardi di abitanti.
Al paragrafo successivo si ribadisce la necessità di puntare alla limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. Mentre a quello successivo che occorrerà mobilitare «tutte le fonti finanziarie». Allo stesso modo, al paragrafo 28 si evidenzia la necessità di attingere «ad un ampio spettro di fonti e strumenti, inclusi quelli pubblici, privati e innovativi, da canali bilaterali così come multilaterali».
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Nessun passo avanti sull’attuazione del Global stocktake alla Cop29
Quella sul Ncqg è la bozza più attesa, ma non è la sola ad essere stata pubblicata. C’è anche quella sul programma di lavoro sulla mitigazione (Mwp) che delude poiché non presenta alcun riferimento a un superamento delle fonti fossili. Quella del dialogo UAE successivo al Global stocktake approvato alla Cop29 di Dubai, nel quale allo stesso modo non si dà corpo al famoso “transitioning away from fossil fuels” deciso negli Emirati, dal momento che non c’è il previsto aggiornamento sui combustibili fossili.
Pubblicata poi la bozza del testo dell’Obiettivo globale sull’adattamento (Gga) dal quale emergono forti contrasti proprio sui riferimenti finanziari. Mentre il draft sul Programma di lavoro per una transizione giusta presenta ancora presenta ancora dieci parentesi quadre e ben nove opzioni in sole quattro pagine.
Mercoledì l’appello dai Paesi in via di sviluppo
Il lavoro da fare resta insomma tantissimo, e le ore a disposizione sono sempre meno. Ieri i vari Paesi in via di sviluppo, riuniti nel G77, nel gruppo dei negoziatori africani (AGN) e quello dei Like-Minded Developing Countries (LMDC, che include tra gli altri India, Cina e numerosi Stati arabi) si sono presentati uniti a una conferenza stampa della coalizione di organizzazioni non governative Climate Action Network.
Adonia Ayebare, rappresentante dell’Uganda, ha parlato a nome del G77. «Abbiamo spiegato in maniera trasparente l’esatta quantità e tipologia di finanziamenti necessari per affrontare in modo efficace la questione climatica. Da parte dei Paesi sviluppati c’è stato però un diffuso silenzio, che ha complicato i negoziati. A poche ore dalla fine della Conferenza è imperativo che quei Paesi rispondano alle aspettative delle economie in via di sviluppo, che chiedono sia garantito loro un sostegno immediato per la mitigazione e l’adattamento, nonché per rispondere alle perdite e ai danni subiti».
«Speravamo di avere una direzione chiara a questo punto della Cop29»
Similmente, Ali Mohamed, inviato speciale per il clima del Kenya e membro del gruppo AGN, si è espresso con queste parole: «Speravamo che a questo punto avessimo ormai indicato una direzione per quanto riguarda il Ncqg. Purtroppo non abbiamo alcuna conferma sui 1.300 miliardi di dollari all’anno che chiediamo dal 2019. Non vediamo muoversi nulla dai governi dei Paesi sviluppati». A nome dei LMDC, infine, il boliviano Diego Pacheco ha ribadito che il risultato della Cop29 dipende «dai finanziamenti che i Paesi sviluppati concederanno a quelli in via di sviluppo». Il che rappresenta il solo modo di «dare attuazione all’Accordo di Parigi». In quest’ultimo, infatti, si parla a chiare lettere di flussi dal Nord al Sud del mondo. Se a Baku si stabilisse un altro principio, si tratterebbe di fatto di una reinterpretazione dell’Accordo stesso, alla quale tutti i Paesi in via di sviluppo si oppongono fortemente.