Cop29, quali questioni stanno bloccando i negoziati sul clima
Esperti e analisti sono pessimisti sui risultati concreti che potrà raggiungere la Cop29 di Baku
Negoziatori della nazione ospitante che ammettono che le cose non stanno andando come dovrebbero. Testi sui tavoli delle delegazioni che appaiono incagliati. Manifestanti messi a tacere perfino all’interno della sede della conferenza. Dal Baku Stadium che ospita la Cop29 nella capitale dell’Azerbaigian le notizie positive sono praticamente inesistenti. E non si può escludere che il summit, il secondo consecutivo organizzato in un petrostato dopo quello di Dubai, possa risultare uno dei peggiori fallimenti della storia della Cop.
Cosa emerge dai testi in discussione alla Cop29 di Baku sul clima
Ma perché sono tutti o quasi pessimisti sui risultati concreti che potrà raggiungere la ventinovesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite? Al di là delle parole pronunciate da ciascun capo di Stato o di governo nel corso della prima settimana di negoziati – dal «petrolio e gas sono doni di Dio» del presidente azero Aliyev al minestrone di Giorgia Meloni per la quale tutte le fonti, dalle rinnovabili alle fossili, hanno di fatto pari dignità – a preoccupare davvero è l’analisi dei testi.
Il lavoro dei Subsidiary bodies (SBs) è stato infatti estremamente complicato. Talmente tanto che, alla fine, si è deciso di accantonare una serie di questioni di importanza cruciale. Impossibile andare avanti, ad esempio, sulla revisione dell’Adaptation Committee: un organismo istituito nell’ambito del Cancun Adaptation Framework e che si occupa di promuovere un’azione rafforzata sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Stessa sorte per la revisione del Meccanismo di Varsavia per le perdite e i danni (loss and damage) patiti dalle nazioni più povere della Terra per colpa dei cambiamenti climatici. Messi da parte poi i temi dei collegamenti tra il Technology Mechanism e la finanza climatica. Di tutto ciò si tornerà a parlare nel corso della sessione intermedia di lavori prevista nel giugno del 2025 a Bonn.
Numerosi temi già accantonati: se ne parlerà alla sessione intermedia di Bonn a giugno
I governi hanno invece discusso a lungo su quale debba essere il futuro del Mitigation work programme, ovvero del programma di lavoro sulla mitigazione dei cambiamenti climatici. Che in gran parte verte sulla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Su questo punto si sapeva sin dall’inizio della Cop29 che difficilmente si sarebbero ottenuti grandi passi in avanti. Ma a sorprendere è il fatto che, alla fine, i delegati non siano riusciti a trovare un accordo neppure su una base di discussione.
Nella seconda settimana, l’Unfccc può comunque decidere di ripresentare il tema sui tavoli dei negoziatori. Ne ha infatti facoltà, dal punto di vista delle regole di funzionamento della stessa Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ma i delegati dovrebbero partire senza assolutamente nulla in mano: è praticamente impossibile immaginare che negli ultimi giorni si possa compiere il miracolo di recuperare il tempo perduto.
Mondo diviso su mitigazione, transizione energetica e finanza climatica
A preoccupare ulteriormente è il fatto che il principale punto di disaccordo sul tema delle mitigazione sia sulla proposta di implementare quanto indicato nel primo bilancio dell’attuazione dell’Accordo di Parigi, il Global Stocktake approvato al termine della Cop28 di Dubai. Per alcuni governi, evidentemente, è meglio lasciare che quel documento – che già era più che perfettibile – rimanga lettera morta. Soprattutto per quanto riguarda la transizione energetica, tema sul quale, allo stesso modo, i negoziatori non hanno trasmesso alcuna bozza di lavoro per la seconda settimana.
Di fronte a tale scenario, i Paesi più poveri del mondo (Least developed countries, LDCs) hanno lanciato un nuovo allarme. Ricordando che l’inazione porterà a «conseguenze reali e devastanti», se il riscaldamento climatico supererà gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Ciò «sia in termini di perdite di vite umane che di mezzi di sussistenza». Al contempo, il mondo ricco è stato oggetto di feroci critiche anche dal Gruppo africano, dai Paesi in via di sviluppo, dal Gruppo arabo e dagli Aosis (le nazioni insulari), che hanno accusato il Nord del mondo di voler imporre «un approccio prescritto calato dall’alto» sulla mitigazione. Secondo “il resto del mondo”, insomma, le economie più sviluppate non accettano fino in fondo il principio secondo il quale, essendo loro le più responsabili dei cambiamenti climatici, debbano accollarsi l’onere di porvi rimedio, prima e più degli altri.
Alla Cop29 non c’è accordo neppure sulla violenza di genere
Esistono invece dei draft su altri temi all’ordine del giorno, ma si tratta ancora di elenchi puntati (è il caso del dialogo sull’attuazione complessiva del Global Stocktake). Oppure di documenti con centinaia e centinaia di parentesi quadre e graffe, che indicano i punti di disaccordo. È il caso, quest’ultimo, del nodo centrale della Cop29, ovvero dell’adozione del Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale (Ncqg) in termini di stanziamenti per mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi ai loro impatti.
Ma c’è di più: in alcuni casi si sta davvero sfiorando il ridicolo. Nell’ultima versione del documento su “Gender and climate change” perfino il paragrafo dedicato alle violenze di genere è punteggiato di parentesi.
All’Italia il premio satirico “Fossile del giorno” per la «relazione speciale» con l’Azerbaigian
Roba da presa in giro. Come quella subita dall’Italia ad opera del Climate Action Network, coalizione internazionale di organizzazioni non governative che hanno conferito al nostro Paese il premio satirico “Fossile del giorno”. Ciò per i «rapporti privilegiati» instaurati con l’Azerbaigian, nazione con la quale gli affari legati ai combustibili fossili vanno a gonfie vele. «Le esportazioni azere di gas verso l’Italia sono aumentate dagli 11 milioni di metri cubi del 2020 ai 10 miliari del 2023, grazie alla Trans Adriatic Pipeline (Tap)», spiegano le Ong. E pazienza se quella di Baku è un’autocrazia nella quale il dissenso è mal sopportato e i diritti umani spesso calpestati.
Oggi, domenica 17 novembre, è il giorno di riposo alla Cop29. Domani i Subsidiary bodies faranno il punto della situazione in avvio dei lavori (cosa che normalmente accade alla fine della prima settimana, ma non ci sono stati i tempi per via delle difficoltà nei negoziati). Quindi passeranno il testimone ai negoziatori politici. Nel fine settimana si saprà se la trasferta di Baku sarà servita a qualcosa.