La Cop29 potrà essere un successo solo se terrà conto delle questioni di genere
La finanza climatica, il grande tema della Cop29 di Baku, non tiene ancora adeguatamente in considerazione la prospettiva di genere
Sono esattamente otto le leader immortalate nella rituale “foto di famiglia”, quella che ritrae le alte cariche presenti ai negoziati per il World Leader Climate Action Summit (WLCAS). Ovvero il momento in cui i vari Paesi fanno il punto della situazione, raccontando cosa stanno facendo e a cosa mirano. Certo è dura distinguerle in mezzo ai loro 70 colleghi ma, con un buon uso dello zoom e un po’ di pazienza, tutto è possibile. Che siano proprio le donne le grandi assenti alla Cop29? Dopo le tante riflessioni sulla mancata partecipazione di Emmanuel Macron e Xi Jinping, forse è necessario spostare il focus.
La questione di genere alla Cop29
In effetti, la sorpresa non dovrebbe essere poi tanta. Non più di dieci mesi fa era stata istituita per questa Cop una commissione organizzativa composta da soli uomini, poi modificata in fretta e furia. Cosa che aveva dimostrato fin dal principio i primi passi indietro sulle questioni di genere. Oltre che far presagire che, ancora una volta, le donne avrebbero avuto un ruolo marginale ai tavoli di lavoro dei negoziati. Tuttavia, la speranza è sempre l’ultima a morire. Muktar Babayev, sottolineando durante il suo discorso di apertura l’importanza di arrivare a soluzioni a misura di generi e generazioni, aveva creato per un attimo l’illusione che a questo giro i negoziati sarebbero stati affrontati con tutte le consapevolezze del caso.
Risulta perciò naturale chiedersi se gli attori della “Cop della finanza” abbiano chiaro l’obiettivo di dover trovare accordi che non vadano solo a beneficio del 49% della popolazione mondiale. E, vista la rappresentanza indigena, sicuramente nemmeno di quella. Specialmente in occasione del decimo compleanno del Lima Work Programme on Gender (LWPG), il programma stabilito a Lima nel 2014 per promuovere l’integrazione della prospettiva di genere nelle politiche e nelle azioni climatiche globali. Fra gli obiettivi del documento c’era proprio quello di incoraggiare Paesi e istituzioni finanziarie a garantire fondi per esigenze e progetti mirati all’empowerment femminile, con un focus sui Paesi in via di sviluppo.
La finanza climatica deve occuparsi anche delle donne
È un dato di fatto che le donne giochino un ruolo chiave in ambito di mitigazione e adattamento. Nonostante ciò, ad oggi, solo una percentuale compresa tra il 2% e lo 0,01% dei fondi riservati al clima annualmente viene investito nel diretto collegamento cambiamenti climatici-donne. Una cifra irrisoria se comparata agli impatti devastanti della crisi climatica. In ogni caso la “Cop della finanza” non può e non deve essere considerata un successo senza una concreta prospettiva di genere. Pare che ci sia in parte arrivata l’USAID, L’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale, che già a Glasgow aveva istituito un fondo con lo scopo di mobilitare 2,5 miliardi di dollari entro il 2030, destinandoli alle organizzazioni che si occupano di questioni di genere. Lo sforzo però deve essere collettivo e ben orientato.
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Rimangono quindi aperte due questioni cruciali. Innanzitutto, è d’obbligo avere un’idea chiara sulla percentuale dei fondi di cui si sta discutendo (e si discuterà nelle prossime settimane) che sarà da riservare esplicitamente a questi temi complessi. Difficile da quantificare: senza un sostegno alla ricerca a dati disaggregati per genere, mancheranno sempre numeri su cui lavorare. Dopodiché, si rende necessario capire a quali organizzazioni, realtà e progetti destinare tali finanziamenti. È un problema di accesso. Se le protagoniste stesse dei temi trattati continuano a non essere coinvolte ai tavoli di lavoro, nessun altro potrà avere la capacità di comprendere la radice del problema e quindi agire.