Corruzione: «Enti locali sotto scacco delle mafie»

La Direzione Nazionale Antimafia: a rischio infiltrazione il 40% degli appalti. E il nuovo codice dei contratti pubblici firmato Lega-M5S ha peggiorato le cose

La corruzione di stampo mafioso è il primo male che affligge l’economia legale italiana. E i contesti amministrativi più colpiti dai colletti bianchi della malavita organizzata, sono le autonomie locali: comuni, regioni, aziende sanitarie locali, consorzi e partecipate. Almeno 600 milioni di appalti pubblici sono a rischio infiltrazione, il 40% del totale. A cui potrebbero aggiungersi altri 400 milioni, previsti dallo Stato come agevolazioni per i piccoli comuni.

A peggiorare le cose, le modifiche del codice degli contratti pubblici, varate con la finanziaria 2019: le novità approvate da Lega e 5 Stelle hanno favorito le pratiche illegali, liberalizzato i criteri di affidamento degli appalti per i lavori compresi tra 40mila e 150mila euro, fino al 31 dicembre di quest’anno. Alleggerimento confermato e ampliato dal decreto Sblocca Cantieri, entrato in vigore lo scorso giugno.

Corruzione: primo polo di interesse per la DNA

Le denunce sono contenute nell’ultima Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA), che mette proprio la corruzione in cima ai poli d’interesse per gli investigatori. Seguita da gioco d’azzardo, criminalità ambientale, narcotraffico e tratta degli esseri umani legata alla migrazione. Il documento, oltre che le attività svolte dal Procuratore Nazionale, Federico Cafiero De Raho e dalla stessa DNA, mette in luce le dinamiche e le strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo luglio 2017 – giugno 2018.

Sfortunatamente la presentazione è passata in sordina: la crisi di governo ne ha penalizzato l’eco. L’ha però ripresa Avviso Pubblico, l’associazione degli amministratori pubblici che dal 2011 censisce le minacce e le violenze rivolte agli amministratori locali, pubblicando annualmente un proprio rapporto.

Minacce e intimidazioni. Province e comuni coinvolti. Fonte Rapporto Amministratori Minacciati, Avviso Pubblico

Sindaci e amministratori minacciati in aumento, la denuncia di Avviso Pubblico

Sono proprio sindaci, assessori, consiglieri comunali, municipali, regionali, dipendenti della Pubblica amministrazione, spesso, a subire le pressioni mafiose. Tanto che, come scrivono gli investigatori, «il condizionamento degli amministratori locali e la corruzione di funzionari»,  fa sì che diventino «le pedine di un gioco criminale finalizzato ad incrementare ed estendere il potere mafioso».

E per chi non sta «al gioco», minacce o ritorsioni. Sono stati ben 574 gli amministratori minacciati nel 2018, con un aumento del 7% rispetto all’anno prima. Con 84 province coinvolte,  il 78,5% del territorio nazionale, il dato più alto mai registrato e 309 comuni colpiti. «Anche per questo consideriamo come un’importante conquista l’approvazione della legge n. 105 del 2017.  Grazie alla quale, è stato istituito presso il Ministero dell’Interno l’Osservatorio sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali» precisa a Valori, Roberto Montà, presidente di Avviso Pubblico.

Comuni sciolti per mafia coinvolti in atti di intimidazione, suddivisione regionale. Fonte Avviso Pubblico

Comuni e ASL sciolti per mafia, l’altra faccia della medaglia

Gli attacchi sono la punta di un iceberg simboleggiata dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose di comuni e Aziende Sanitarie Locali. Sono stati 23 quelli decisi nel 2018, a cui si devono aggiungere 20 provvedimenti di proroga di precedenti decreti e 12 nei primi nove mesi del 2019. «Il Parlamento ha proprio in questi giorni iniziato l’esame di due progetti di legge che sembrano andare, almeno in parte, nella direzione da noi auspicata, occorre migliorare il quadro normativo di riferimento» ribadisce Montà. Punire i collusi e sostenere gli onesti.

Anche perché, come scrivono gli esperti della DNA, «in un periodo caratterizzato da un imponente debito pubblico, da risorse pubbliche molto limitate, sono ben poche le opere pubbliche a livello nazionale finanziate. Cosicché la maggior parte degli appalti è bandita, necessariamente, dagli Enti locali». Sono proprio comuni, regioni, consorzi e partecipate pubbliche, «il più rilevante centro di imputazione della spesa pubblica, e proprio per questo sono il contesto in cui le organizzazioni mafiose trovano conveniente operare».

Enti locali e appalti, linfa per la criminalità, senza controlli 

Il gioco delle mafie in questo momento è poi «facilitato» dal blocco di alcune norme atte fermare il fenomeno collusivo, che permea la società italiana. Quello che fa vincere ai «soliti noti» gare e bandi redatti con determinate caratteristiche. Proprio lo scorso 15 luglio, Anac ha dovuto avallare la sospensione, voluta dal governo, fino al 2020, dell’Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici.

La norma è prevista dalla nuova riforma del Codice dei contratti. Eppure, sottolinea la DNA, tra le principali modalità di manipolazione delle gare ci sono sia il ricorso a capitolati, redatti con caratteristiche possedute soltanto dall’impresa che si intende favorire, sia la formazione pilotata delle commissioni aggiudicatrici.

«Semplificazioni preoccupanti» su almeno 600 milioni di appalti

Non basta: criminalità organizzata e d’impresa vengono agevolate anche dalle ultime norme varate con la Legge di Bilancio 2018, approvata a dicembre scorso dal primo governo Conte (quello gialloverde, per intenderci), che hanno annacquato i principi più stringenti voluti anche dall’Autorità Anticorruzione. Scrive la DNA: «A fronte di tali evidenze non può non preoccupare la “semplificazione” introdotta dalla legge di bilancio 2018». A cui si sono aggiunte quelle della legge Sblocca Cantieri.

Sul piatto lavori per almeno 600 milioni di euro, il 40% del totale dei contratti delle stazioni appaltanti pubbliche che, ribadisce, «sarà assegnata senza alcuna forma di garanzia né di informazione, senza alcun criterio oggettivo nella scelta dell’appaltatore, senza controlli sull’operato delle stazioni appaltanti». Così come, sempre in deroga al codice degli appalti, fino al 31 dicembre 2019 sono stati liberalizzati i criteri di affidamento degli appalti di lavori compresi tra 40mila e 150mila euro, fino al 31 dicembre 2019.

«Sembra sia stata dimenticata l’esperienza acquisita sui cantieri di EXPO, dove, a fronte delle oltre 80 interdittive antimafia emesse dal Prefetto di Milano, è risultato che la maggior parte delle ditte poi interdette si era aggiudicata commesse al di sotto della soglia dei 150.000 euro» sottolinea la DNA.

Non basta la legge Spazza-corrotti se si vara lo Sblocca Cantieri…

A gennaio 2019, il governo giallo-verde approvava in pompa magna la cosiddetta legge spazza-corrotti. Secondo la Direzione Nazionale Antimafia e terrorismo, l’innalzamento delle pene, le nuove misure interdittive e una nuova disciplina delle pene accessorie possono aiutare l’azione repressiva. Così come la procedibilità d’ufficio, sul piano del codice civile, nella corruzione tra privati e nell’istigazione. E sul piano della responsabilità degli enti, modificando la durata delle sanzioni interdittive. La DNA plaude all’estensione di alcune tecniche investigative, legate all’antimafia, anche nelle inchieste sui più gravi delitti contro la PA. Consentendo le intercettazioni anche in luoghi di privata dimora, e prevedendo il ricorso ad azioni sotto copertura.

Intanto, però, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, insieme ad altre due Autority (AgCom e Privacy) non ha ancora visto la nomina in sostituzione di Raffaele Cantone, dimessosi in anticipo il 23 luglio scorso. La parziale sospensione del codice degli appalti, introdotta solo qualche giorno prima in finanziaria, durerà fino al 31 dicembre 2019. E per alcuni provvedimenti, fino al 2020. Oltre tutte le nuove «agevolazioni» ricomparse nel decreto Sblocca Cantieri.

«Il codice degli appalti non aveva bisogno di essere né sospeso, né stravolto, ma solo di essere rivisto in alcune sue parti» conclude il presidente di Avviso Pubblico.

«Bisogna aprire un tavolo di confronto, senza per questo indebolire gli strumenti di tutela della libera concorrenza. Nè fermare quelli a tutela della legalità e della trasparenza, di prevenzione e contrasto alle mafie e alla corruzione approvati in questi ultimi anni».