Mutilazioni femminili, la violenza costa $1400 miliardi ai sistemi sanitari
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha ideato un sistema per calcolare l'impatto economico del fenomeno: per sradicarlo basterebbero appena 2,4 miliardi
«La mutilazione genitale femminile comporta un costo paralizzante sia economico che umano»: a dichiararlo è l’Organizzazione mondiale della sanità. L’istituzione internazionale non si limita a denunciare il problema ma ha tentato di misurare i costi diretti che le più diffuse pratiche di questo tipo, a cominciare dall’infibulazione, determinano sui sistemi economici e sanitari dei principali Paesi coinvolti.
Da qui, come si evince dalle parole di Ian Askew, direttore del Dipartimento Salute sessuale dell’Oms, la decisione di utilizzare la stima dell’impatto finanziario della FGM (acronimo inglese per le mutilazioni genitali femminili) come un mezzo di contrasto alla sua perpetuazione. Ovvero per indurre un’inversione di tendenza rispetto a questa sistematica violazione dei diritti umani che «danneggia in modo significativo (e spesso irreparabile, ndr) la salute fisica e mentale di milioni di ragazze e donne», nel dispendio di risorse economiche vitali.
Il numero che ne viene fuori fa impressione: i costi totali per trattare le sole necessità mediche delle mutilazioni ammontano a 14oo miliardi di dollari l’anno.
La cifra spinge Askew ad invocare innanzitutto maggiori finanziamenti da parte della comunità internazionale. Ma non solo. Questa spesa potenziale è ancor più intollerabile perché manda all’aria la sostenibilità della spesa sanitaria di molti Paesi: nelle nazioni dove le mutilazioni avvengono di più, i costi incidono per il 10% della spesa sanitaria annuale, con punte del 30% in alcuni casi.
Il calcolatore economico degli abusi
La percentuale è emersa grazie a un calcolatore elaborato ad hoc dall’Oms ha presentato in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili. Il simulatore permette di valutare, Paese per Paese, la prevalenza del numero di casi di mutilazioni e la relativa spesa, totale e per voce, che ricade sul sistema economico e sanitario nazionale in base a parametri statistici, modificabili anche dall’utente. Inoltre permette di ricavare una proiezione dell’andamento che tali fenomeni potranno avere nei prossimi 30 anni se si dimezzassero o si interrompessero del tutto le mutilazioni genitali femminili.
Spicca, ad esempio, il caso dell’Egitto, già fortemente criticato per le violazioni diffuse delle libertà civili e dei diritti umani (i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki sono solo due gocce nell’oceano): si aggirano sugli $870 milioni le spese sanitarie annuali causate dalle conseguenze delle mutilazioni subite da oltre 38 milioni di donne durante la loro vita. Il peso finanziario è altissimo e nasconde gravi disagi fisici e psicologici per le donne: gravi problemi di salute, limitazioni dell’attività sessuale, rischi per quella riproduttiva, patologie psichiatriche e deficit di sviluppo della personalità.
2,4 miliardi per evitare di pagarne 1400
A rendere ancor più odioso il fenomeno è il fatto che, per porre fine entro 10 anni alle mutilazioni nei 31 Paesi a maggior incidenza, basterebbe un investimento di appena $2,4 miliardi. La somma, calcola lo United Nations Population Fund, andrebbe suddivisa tra programmi di prevenzione (2,1 miliardi di dollari), programmi di protezione (225 milioni di dollari) e assistenza e cure (130 milioni di dollari). Una spesa quasi 600 volte inferiore al costo sanitario delle mutilazioni.
Soldi senz’altro spesi bene visto che, utilizzando i dati provenienti da 27 Paesi dove il fenomeno è più diffuso, il calcolatore delle Nazioni unite dimostra che l’abbandono di queste pratiche consentirebbe «risparmi associati nei costi sanitari superiori al 60% entro il 2050». Per non dire del potenziale di sviluppo che le economie più povere, a cominciare da quelle africane, riuscirebbero a liberare.
200 milioni di vittime, e l’Europa non è immune
Secondo le stime più recenti, in giro per il mondo ci sarebbero circa 200 milioni di donne vittime di una qualche forma di mutilazione genitale. Un numero già elevato, ma decisamente più preoccupante se si pensa che la stima di una indagine Unicef del 2014 fermava questo computo a 125 milioni. Da allora, quando nel mirino era una trentina di Paesi dell’Africa, con particolare attenzione ad alcuni Stati (Gibuti, Somalia, Eritrea, Egitto, Guinea) con più del 90% della popolazione femminile colpita, il quadro non è perciò migliorato. E, come allora, le pratiche di mutilazione sono ancora frequenti pure in India, Indonesia, Iraq, Pakistan, Yemen e in alcune comunità indigene dell’America latina.
Ma nessuno può sentirsi scarico di responsabilità nel contrasto al fenomeno: anche la civilissima Europa e le economie avanzate sono tutt’altro che zona franca. La pratica clandestina persiste infatti tra molti gruppi familiari, perlopiù di di origine immigrata, in USA, Australia, Nuova Zelanda ed Europa.
Nella Ue, dove secondo la campagna 28 Too Many sarebbero addirittura 180mila le ragazze e le donne a rischio di subire mutilazioni ogni anno, le donne viventi già vittime di mutilazioni raggiungerebbero un numero compreso fra 500 e 600mila unità.
Studio UK: fino a 184 milioni di sterline per 137mila vittime
Per quanto riguarda il costo che ciò comporta sui sistemi sanitari nazionali pagati dalle tasse dei cittadini europei, è significativa una ricerca (Estimating the costs of Female Genital Mutilation services to the NHS) svolta nel 2016 sul Regno Unito.
In quel lavoro si stimava che 137mila donne e ragazze vivessero le conseguenze di mutilazioni genitali in Inghilterra e Galles. A partire da quel numero i ricercatori scrivevano che «la stima complessiva del costo delle mutilazioni genitali per il servizio sanitario nazionale in Inghilterra e Galles è di 100 milioni di sterline l’anno (115 milioni di euro, ndr)». Un valore su cui, data la dichiarata difficoltà di stimare con precisione i livelli di incidenza delle complicanze associate alle mutilazioni genitali femminili, lo studio si cautela: viene però considerato attendibile un valore compreso tra 33 e 184 milioni di sterline (38-213 milioni di euro).