Crisi chiama crisi

Ma non quella della dottrina neoliberista

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© Aldo Cavini Benedetti/Flickr
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Crisi chiama crisi. Tra inflazione crescente, la guerra in Europa da ormai oltre sei mesi, i ricatti reciproci tra Occidente e Russia, la situazione rischia di diventare pesante. Per i consumatori? Certamente, ma secondo qualcuno a rischiare saranno anche i colossi dell’energia. La Svezia ha annunciato ad esempio che sbloccherà fondi per l’equivalente di 23 miliardi di dollari a sostegno delle grandi aziende del settore, al fine di evitare «una crisi finanziaria». C’è da mettere in conto, però, che finora in Europa molte compagnie hanno registrato risultati operativi straordinari. Non è che il principio è il solito, ovvero finché le cose vanno bene i ricavi restano privati, e quando vanno male si socializzano le perdite? 

La dottrina liberista, d’altra parte, non ha ancora esaurito le proprie vite. Qualcuno l’aveva data per spacciata dopo l’esplosione della crisi del 2008, che aveva fatto emergere in modo lampante e drammatico tutte le storture del sistema capitalista. Ma tra riforme mancate e tempo che passa tutto è cambiato affinché nulla cambiasse. E oggi, dopo il Cile che rifiuta una Costituzione progressista per tenersi stretta l’elogio ai mercati scritto 40 anni fa dal dittatore Pinochet, a Downing Street entra una pasdaran del libero mercato che ha subito fatto capire l’antifona: giù le tasse, deregulation dei mercati, anti-interventismo pubblico, trivelle nel mare del Nord e addio alla lotta ai cambiamenti climatici. Mala tempra currunt. 

Eppure la cronaca ci spiega ogni giorno che i mercati andrebbero riformati. Lo vediamo con le speculazioni sul gas che spingono i prezzi al rialzo. Ma anche dalle piccole storie, come quella di Neil Phillips, che nel 2015 lanciava in pompa magna il suo fondo d’investimento speculativo, il Glen Point Capital. All’epoca, riuscì ad ottenere 2 miliardi di dollari da un gruppo di investitori. Sei anni dopo, il fondo stava per essere acquisito dal concorrente Eisler Capital, anche se poi non se ne fece nulla. Oggi, Phillips rischia 20 anni di reclusione: è stato arrestato a fine agosto in Spagna su ordine della giustizia americana. Avrebbe manipolato il tasso di cambio tra il rand sudafricano e il dollaro al fine di intascare 20 miliardi di dollari. È la finanza, bellezza. 

Per fortuna c’è chi ci fa fare due risate. Si fa per dire. Mentre in Europa (e nella campagna elettorale italiana) si parla di jet privati e della necessità di limitare gli spostamenti dei ricchi, all’allenatore del Paris Saint Germain, Christophe Galtier arriva una domanda extra sportiva in conferenza stampa: «Mister, visto che per andare da Parigi a Nantes ci vogliono due ore di treno ad alta velocità, perché avete preferito il jet privato?». La prima “risposta” la dà il campionissimo Kylian Mbappé (quello trattenuto al PSG a 200mila euro al giorno), che trattiene risata e sghignazzi coprendosi col braccio, scuola materna style. Poi arriva la risposta di Galtier: «Ho interrogato la società su questo e domandato se la prossima volta possiamo spostarci con un carro a vela». Volto serio, risatine degli astanti. D’accordo, sono (stra)pagati per tirare calci al pallone. Ma così tanta ignoranza in 30 secondi è rara.