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Crisi di Fannie e Freddie, “processo” al ruolo dello Stato

Gli azionisti delle due agenzie americane hanno depositato una denuncia nella quale si punta il dito contro la nazionalizzazione operata nel 2008.

  Gli azionisti di Fannie Mae e Freddie Mac hanno intentato una causa nei confronti del governo degli Stati Uniti: l’accusa mossa è legata al salvataggio delle due agenzie operato nel 2008, che sarebbe stato effettuato in modo illecito e avrebbe provocato perdite agli investitori per miliardi di dollari. Secondo la denuncia depositata presso la corte federale di Washington, infatti, l’operazione avrebbe «distrutto il valore dei titoli comuni e preferenziali di Fannie e Freddie, calpestando i diritti dei loro possessori». Per questo gli azionisti chiedono un maxi risarcimento, pari a ben 41 miliardi di dollari. 

«La capacità di continuare a concedere liquidità su larga scala al mercato dei mutui era cruciale per la ripresa del settore immobiliare e dell’economia intera – scrivono ancora i legali -. Per questo il governo ha deciso di prendere il controllo delle agenzie, ignorando però completamente le conseguenze per gli azionisti». Sembra trattarsi, in questo senso, di una mossa che punta anche a stigmatizzare il ruolo dello Stato americano nelle scelte assunte nel corso della crisi. Come se il lungo periodo di deregulation e di fiducia cieca nel sistema essenzialmente privato degli Usa non avesse già mostrato ampiamente le proprie storture. 

In attesa della decisione dei giudici, la situazione delle due agenzie sembra migliorare. Gli investitori appaiono convinti della loro capacità di restituire in breve il denaro preso in prestito dai contribuenti e di uscire in questo modo dal controllo governativo.